lunedì 30 novembre 2015

John Elkann, un impero sotto Dicembre




















Quest’estate si è parlato molto di Exor e di John Elkann, in seguito al colpo di mercato della holding finanziaria della famiglia Agnelli su L’Economist. Ad Aprile, invece, l’erede degli Agnelli aveva cominciato le contrattazioni con PartnerRe, società di riassicurazione con sede alle Bermuda, con la cui acquisizione la famiglia torinese sarebbe entrata anche nel ramo finanziario a pieno titolo. E così è stato. Poi questo Settembre, Exor è passata all’incasso, con la cessione della sua quota in Cushman&Wakefield, società immobliare statunitense. Altro grande incasso lo ha avuto lo scorso anno, vendendo la sua quota di Sgs, società svizzera di certificazione, ottenendo un’enorme plusvalenza. E queste sono solo le operazioni più recenti, alle quali possiamo aggiungere la quotazione di Ferrari a New York.
Insomma Mr. Elkann si è dato molto da fare, nonostante abbia un’infinità di impegni, essendo attualmente presidente della Fiat Chrysler Automobiles, della Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a., di Italiana EditriceCushman & Wakefield (almeno per ora), nonché presidente di Exor S.p.A. Quindi i suoi sforzi non sono rivolti solamente a quest’ultima. Impegni istituzionali legati alle società sopracitate, e non solo, gli portano via molto tempo. Nonostante ciò, si vede che gli piace fare shopping di imprese. Ovviamente non per il gusto di farlo e non perché gli piace spendere.
Come detto, molto si è parlato dell’attività di Exor e di John, però a mio avviso la cosa più interessante sarebbe, una volta ogni tanto, accennare alla strategica costruzione piramidale di imprese messa in piedi da questi signori. Ogni tanto capita di leggere qualche articolo sull’argomento, ma sono tutti poco esaurienti e soprattutto incompleti, per il semplice fatto che ilsistema è talmente tanto aggrovigliato da perdere il filo logico dopo poco che si segue. Ci vorrebbe una white board, un pennarello e tanta voglia di cominciare a disegnare i rapporti partecipativi delle società degli Agnelli e degli Elkann. Il mio scopo è quello di condensare brevemente un discorso cercando di cogliere i punti salienti.
Cominciamo dicendo che ormai le casseforti, le cassette di sicurezza, ecc… sono ormai obsolete: i veri tesori – immateriali, in senso lato – si nascondono sotto il naso di tutti. Si nascondono creando delle società, facendole diventare delle vere e proprie raccolte di partecipazioni in imprese ritenute idonee allo scopo per cui sono state acquistate. Si vanno a creare strutture piramidali talmente complesse da rendere estremamente difficile scoprire chi effettivamente le manovri. Pur non risultando essere proprietari del capitale effettivo, è possibile avere il controllo.
Prendiamo come esempio una società italiana famosa in tutto il mondo, Ferrari S.p.A. Tale società appartiene al Gruppo FCA con circa il 30% delle azioni – società controllata direttamente degli Agnelli tramite il presidente John Elkann. A sua volta FCA è controllata dalla holding finanziaria degli Agnelli/Elkann, denominata EXOR – con presidente John Elkann. Oltre il 50% delle azioni ordinarie di EXOR sono detenute dalla Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a., la prima – e sottolineo prima – cassaforte della famiglia Agnelli, che racchiude tutte la partecipazioni della famiglia torinese e di tutti i discendenti – non meno di 150 persone. Anche qui il presidente è John Elkann. Allo stesso tempo la Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a. ha una partecipazione di controllo in FCA. Cosa c’è a monte di tutto? Non è facile da capire.
Cercando sulla rete è possibile trovare articoli di un giornalista chiamato Gigi Moncalvo. Questa persona ha effettuato numerose ricerche ed ha raccolto molte informazioni sulla struttura piramidale delle cosiddette “scatole cinesi” della famiglia Agnelli. Lui come altri giornalisti che si sono occupati di questo argomento hanno definito “maestra” la famiglia Agnelli, citando Elkann come perfetto esempio del caso.
Per rispondere alla domanda precedente occorre sapere che John Elkann controlla una società chiamata Dicembre s.s. – si esatto, SOCIETA’ SEMPLICE – che ha oltre il 30% dei voti nella Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a. Anche Dicembre s.s. è stata fondata da Giovanni Agnelli. Come sicuramente saprà il lettore, le società semplici sono esentate dall’obbligo di presentare il bilancio e consentono, in un certo senso, di restare sottotraccia specie per il fisco, perché tipicamente vengono create per svolgere attività molto semplici (pesca, agricoltura, ecc…).
Questo cosa vuol dire? Considerando il fatto che tutti gli eredi della famiglia di Torino che hanno partecipazioni nella Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a non hanno in nessun caso una partecipazione superiore al 5% – se presa ogni persona fisica singolarmente –, sono effettivamente loro che mettono il capitale, non Dicembre s.s – e quindi John Elkan. Quindi? Beh, la posizione del signor Elkann è praticamente inattaccabile dato che ha oltre il 30% dei voti attraverso la società semplice più volte menzionata. Quindi il resto della famiglia mette il capitale, ma non ha, più di tanto, voce in capitolo su ciò che accade, a meno di un’improbabile alleanza contro lo sbarbo dai capelli ricci ed il cognome americano. Così l’erede al trono di Giovanni Agnelli, l’uomo che controlla la Fiat, ha solo il 3,5% del capitale. Lui controlla e gli altri lo finanziano. Lui decide come gestire l’impero, gli altri lo finanziano. Lui decide dove, come e quando fare shopping, gli altri lo finanziano. Un sistema decisamente efficiente.


Lo studente, Matthew Shod


[Questo e molti altri miei articoli li potete trovare sul sito Neos, un blog formato da studenti universitari di cui sono collaboratore]

mercoledì 7 ottobre 2015

sabato 22 agosto 2015

Investire nella Coca-Cola? Attenzione ai cambiamenti!
















Nel 1889 ad Atlanta, Stati Uniti, un farmacista di nome John Pemberton creò una bevanda analcolica che di lì a poco sarebbe divenuta la più popolare al mondo. Attualmente il nome di tale bevanda è la seconda parola più conosciuta al mondo dopo 'OK'. Stiamo parlando della Coca-Cola.

Molte pubblicità dell'omonima compagnia hanno affermato che la ricetta che continuano a proporre è esattamente quella del farmacista. In realtà non è così. Oggi la Coca-Cola è il soft drink più conosciuto al mondo e come tale non è alcolico, mentre inizialmente era una speciale miscela di vino e foglie di coca. Ad oggi l'alcol è stato eliminato, così come il principio attivo delle foglie di coca (da cui si ricava la cocaina). In origine conteneva tracce dell'alcaloide allucinogeno e tale bevanda costava pochi centesimi a bicchiere.

Ma quello che vorrei fare non è concentrare l'attenzione sulla ricetta, ma sull'impresa multinazionale che la produce e ne detiene il marchio: The Coca-Cola Company. In particolare su alcuni aspetti di questa lobby.

La società venne quotata in borsa nel 1919, circa trent'anni dopo la nascita della ricetta. Nel 2014 ha avuto un fatturato di 46 miliardi, a fronte di un totale di bilancio di 92 miliardi, con un utile netto di 7 miliardi - tutti dati espressi in dollari. Vorrei ricordare che sono tutti dati statici e per operare un'analisi di bilancio occorre vedere la dinamica di questi valori nel tempo. Analisi del solo ROI, ROE e degli altri parametri da poche informazioni. Bisognerebbe concentrarsi sull'azienda come tale, senza stilizzarla dietro pochi indicatori - che comunque rimangono un ottimo punto di partenza.
Dall'anno di quotazione ad oggi la capitalizzazione azionaria e i total revenues sono cresciuti costantemente e solo negli ultimi hanno ceduto un po'. Se guardiamo il grafico del valore azionario di questa impresa, vediamo immediatamente che il trend è costantemente in ascesa. Solo a fine anni novanta ha visto una discesa, il cui valore, però, è stato completamente recuperato negli ultimi anni.

Lo scopo di questo post non sarà quello di fare un'analisi di bilancio di tale impresa, perchè il lettore la può fare in maniera autonoma, oppure cercare una delle miriade di soluzioni proposte da vari siti e analisti. Il nostro scopo è quello di mostrare The Coca-Cola Company sotto un determinato aspetto, lasciando al lettore decidere se è un buon affare investire in questa multinazionale oppure no.


The Coca-Cola Company ha un impero in cui vende e produce bevande analcoliche e acqua, nonchè un ampio settore dedicato al merchandising. Lasciamo stare il loro modello di business e di distribuzione e concentriamoci sui loro prodotti. Un prodotto buono - proprio per il sapore - come la Coca-Cola non esiste a mio avviso. L'unico concorrente possibile è la Pepsi, mentre gli altri tipi di cola non sono ai quei livelli. Ormai è un prodotto internazionale, venduto in più di 200 paesi al quale si affiancano altri 400 prodotti circa sotto il controllo di questa multinazionale. I suoi vantaggi competitivi sono indiscussi, tant'è che è diventato un investimento del tipo buy-and-hold di molti miliardari. E' sempre stata la bevanda per antonomasia nei fast food e, data la loro crescita capillare e l'aumento del loro giro d'affari, questi hanno trainato anche il prodotto Coca-Cola. Di certo non è conosciuta per essere una bevanda salutare. Anzi, molti hanno cercato di fare propaganda negativa sui loro prodotti, sopratutto quelli che contengono il colorante E150d, ritenuto cancerogeno.

Ora analizziamo un attimo il cambiamento del mercato. Nel caso della Coca-Cola occorre analizzare il mercato globale. Come si può notare, sopratutto nei paesi occidentali ed in quelli sviluppati, si sta manifestando - con le ultime due generazioni - un aumento dei fenomeni di allergie ed intolleranze ad alimenti, tipi di piante, ecc... Nonchè fenomeni di asma sempre più frequenti nei giovanissimi ed un aumento spropositato dei fenomeni di celiachia. Quello che vorrei far notare è questo. Il mondo sta cambiando, sopratutto dal punto di vista alimentare e della salute. Oltre ai fatti descritti precedentemente vorrei aggiungere l'aumento - e la conseguente lotta - dell'obesità ed un maggiore sviluppo della cultura della buona alimentazione. Questi sono fenomeni che potrebbero contrastare l'ascesa, ed anche il solo mantenimento, dei ricavi di multinazionali come la Coca- Cola, la Nestlè, ecc... Nei paesi industrializzati la sensibilizzazione in queste materie sta cominciando a diventare sempre più forte. Ovviamente diverso è nei paesi più poveri o in via di sviluppo. Anzi. In questi paesi, se ci pensiamo bene, bevande di questo tipo (ricche di zuccheri e dal sapore "che ti sveglia") potrebbero aiutare la popolazione. Quello che sto cercando di dire è quanto segue. Il mercato della Coca-Cola e degli altri soft drinks affini potrebbe spostarsi, negli anni a venire, dai mercati più grandi e redditizi a quelli più piccoli - attualmente - e meno redditizi. La conseguenza sarebbe, certamente, un obbligato cambio nel modello di business, una diminuzione dei prezzi e quindi dei ricavi - se la direzione deciderà di continuare sulla strada dei prodotti core. Quando dico 'anni a venire' intendo molto molto a venire. Secondo me non sarà una cosa che vedremo molto velocemente. Ad ogni modo questo può far pensare il lettore e gli attuali investitori.


C'è un però. Un enorme, gigantesco però.


The Coca-Cola Company è una enorme multinazionale. Una potente lobby. Un'istituzione, ormai. Di centro non si fa mettere i piedi in testa molto facilmente. Basta accorgersene durante le campagne elettorali per le presidenziali americane. A queste lobby non interessa chi andrà al potere e non hanno un colore politico. Tutte, e sottolineo tutte, finanziano sia i partiti democratici che repubblicani. Non sono cose campate per aria, cercate su internet e lo potrete constatare. Tutta questa tiritera politica è solo per dire una cosa. Anche se il mercato dei soft drinks analcolici cambierà, The Coca-Cola Company potrà avere una determinata influenza anche nella politica e rallentare il processo di cambiamento, per poi cavalcare l'onda del momento. E' troppo grande, troppo forte. Recentemente abbiamo visto che l'azzardo morale dei Too Big Too Fail può portare a bruttissime conseguenze (vedi Lehman Brothers), ma qui non stiamo parlando del settore finanziario. Qui parliamo di economia reale, dove non si gioca a leva. Le cose sono molto diverse. The Coca-Cola Company riuscirà bene ad adeguarsi ai mutamenti.


Quello che un piccolo studente di finanza sta dicendo è che la Coca-Cola non potrà rimanere in steady state in eterno come molti investitori possono ritenere. E' un atteggiamento da contrarian rispetto a quello del mio idolo Warren Buffett. Ritengo che il modello di business di questa impresa si modificherà negli anni. Ad oggi la quotazione azionaria della KO è ad uno dei più alti livelli della sua storia (sui 40 dollari più o meno), quindi non conviene investire ora. Ma sappiamo che il mercato è molto molto emotivo. Appena le cose cominciano a cambiare si spaventa e secondo me è quello che succederà con la Coca-Cola nei prossimi (prossimi) anni. Le quotazioni scenderanno di molto e solo chi sarà talmente visionario da rendersi conto di cosa sta succedendo, quali siano le occasioni del momento ed i modi di reagire, riuscirà a trarne enormi profitti. Sfruttando l'emotività del mercato si potrebbe comprare qualcosa di enorme valore intrinseco al prezzo di una cassa di Coca-Cola. Da li in poi il management, che non è stupido, capirà che il modello di business non potrà più funzionare e si muoverà di conseguenza. Oppure potrebbe muoversi anche in anticipo. The Coca-Cola Company come la conosciamo oggi potrebbe mutare talmente tanto da divenire irriconoscibile, perchè il mercato, i consumatori e gli investitori, nel futuro, vorranno altro. Non più solo acqua zuccherata e coloranti, ma un prodotto nuovo. Magari si sposterà anche in un settore diverso, ma questo non lo credo. Ciononostante possiamo notare una cosa. I maggiori incrementi nelle vendite sono stati nei prodotti LIGHT e ZERO, cioè quelli a basse calorie o con calorie assenti. C'è di più. Se cercate nel web, troverete che la Coca-Cola è stata vittima di spionaggio industriale, ma non per quanto riguarda la ricetta originale della famosa bevanda, bensì per un nuovo soft drink a "calorie negative". Questo in parte sostiene la mia tesi ed in parte no. C'è sempre maggior attenzione verso il peso e la linea, ma un po' meno verso la salute. Probabilmente le cose cambieranno anche sotto quel punto di vista e sarà proprio quello il momento della svolta.

Se qualcuno riuscisse ad accorgersi quando e se il momento della svolta è imminente, troverà una grande fortuna dietro l'angolo. Il mio futuro investimento in Coca-Cola si baserà proprio su questo, perchè credo veramente in quello che dico. A questo punto vorrei il parere di uno dei big della Coca-Cola, per sentirmi dire che sono solo un piccolo studente di finanza.




Lo studente, Matthew Shod


martedì 18 agosto 2015

Il nuovo oro, si chiama Gossip
















Gossip. Sinonimo di pettegolezzo. Fin da quando si è piccoli si sperimenta tra i banchi di scuola, con i propri amichetti. Quando gli ormoni cominciano a scalpitare si ricercano notizie sulla bella o il bello di turno, per avere informazioni da sfruttare a proprio vantaggio o anche solo per non rimanere estraneo ai discorsi più frizzanti del momento, in quanto potrebbero farci sentire un po' esclusi. Poi, quando si diventa più grandi, si trasforma quasi in una routine. Non vi sembrerà, ma ogni giorno, anche involontariamente, ci giungono notizie di gossip a camionate. Testate giornalistiche specializzate, blog, siti web, pubblicità, canali TV. Tutti incentrati su un'unica cosa: carpire la notizia più piccante del momento.

Ma non siamo qui per fare gossip o per girarci attorno cercando di accaparrare qualche lettore interessato all'ultima fiamma di qualche vip. Siamo qui per parlarne dal punto di vista economico. Potrebbe essere interessante investire nel gossip?

Diamo qualche numero. Se si googla "giro d'affari del gossip" non si trova granché. Alla sola parola 'gossip' vengono abbinati centinaia di siti che sovrastano le altre parole utilizzate per la ricerca. Ad ogni modo è possibile trovare velocemente un articolo de "La Repubblica" datato 2011 (un po' vecchio quindi) nel quale si descrive, appunto, il giro d'affari del gossip. Solo in America varrebbe 3 miliardi di dollari ed a mio avviso la cifra è stata stimata al ribasso. Inoltre viene descritto che una testata giornalistica, sempre americana, avrebbe offerto 2 milioni di dollari all'obitorio in cui era custodita la salma di Michael Jackson per avere una foto in esclusiva del corpo del re del pop. Roba da matti.

Tutto questo per dire quanto possano essere infuocati i giornali e i paparazzi, pagando fior di quattrini per pochi scatti o un'intervista. Ma questo vuol dire che se pagano migliaia o milioni di euro per una foto, vuol dire che hanno anche stratosferici tornaconti economici.

I giornali ed i siti specializzati hanno spesso lettori fissi e una miriade di lettori saltuari che sono alla caccia dell'ultima notizia. Intorno al pettegolezzo si è creata una nuvola di denaro da far girare la testa. Sopratutto le nuove generazioni sono sempre più invase da notizie di questo tipo, anche perché più legate alla tecnologia e perché hanno molto più tempo libero. Ma non è solo colpa dell'evoluzione della tecnologia e del fattore tempo. Questi tipi di informazioni vengono proprio ricercate, quindi i lettori giocano un ruolo attivo. Se un rumors afferma che Di Caprio esce con un nuovo angelo di Victoria Secret's, i motori di ricerca vengono invasi.



Probabilmente una volta era diverso. Certo esistevano giornali di gossip, ma sicuramente erano molti meno, con meno risorse per ottenere le informazioni e con molti meno lettori. Più che altro le notizie giravano a voce. Basti pensare alle pettegole del quartiere e tutte le varie storie che girano nei piccoli paesini. Una volta quello era il vero gossip. Oggi è mutato, cambiato. E' peggiorato a mio avviso, è diventato molto più invadente, ossessivo e virale. Ma anche più profittevole.

Si potrebbe pensare che siano per lo più le ragazze che si dedicano al gossip, ed in effetti è proprio così. Ma l'interesse del sesso forte su tale argomento è in notevole aumento. Sempre a caccia di notizie sulla modella che si è visti in TV, per scoprire con chi è fidanzata in quel momento, tanto per fare un esempio. Quindi la clientela ed il target di età si sta gonfiano sempre di più. Questo rende il business del gossip un settore interessante in cui investire. Aumento dei customers, ampliamento del range di età, ampliamento delle piattaforme su cui riversare le notizie, ma anche ampliamento della concorrenza. Per molti è diventata anche una passione.

Io NON sono assolutamente un appassionato di gossip. Questa tipologia di informazione non mi tocca minimamente. Questo per dire una semplice cosa. Sono fermamente convinto che uno debba investire solamente in ciò che conosce, questo anche a ragion di logica. Purtroppo, quando si parla di finanza ed investimenti spesso la logica non la fa da padrona. Basta guardare ai recenti sviluppi in Cina, alla bolla delle .com negli anni duemila e così via. Però...c'è un però!

Le cose possono cambiare. E' vero che il gossip non è di mio interesse, ma è di mio interesse la ricerca di ottimi investimenti. Al momento non ho informazioni per dire che quell'impresa di gossip è meglio di quell'altra, perché non ne ho veramente la minima idea. So solo una cosa, cioè che il business del gossip è da tenere d'occhio. E' un business altamente dinamico e competitivo. Sia per quanto riguarda i mezzi attraverso cui far transitare le notizie, sia per le metodologie con cui ottenere le informazioni prima di tutti gli altri. Un business che devia dalla solita cronaca giornaliera. Sono notizie che fanno emozionare le persone, le fanno parlare per ore e ore ed interagire. Il gossip è social.

In un mondo in cui si è ormai dominati dai social network, un business che si muove parallelamente è proprio il gossip. La ricerca di un'impresa che possegga vantaggi competitivi in questo settore però è cose molto ardua. Non è come in investire in un'impresa industriale e commerciale, la quale implementa programmi di R&D per sviluppare nuovi prodotti e poi brevettarli e non è neanche una classica impresa di servizi, in cui si impacchettano i servizi. Stiamo parlando di informazione. Un intagibles che ha enormi poteri in alcuni casi. Creare e distruggere colossi, celebrità e causare parecchi problemi a Stati e istituzioni. Notizie che fanno scalpitare la gente, quasi come una droga. Un business. Davvero interessante quello che riguarda il pettegolezzo, aggiungerei. Da tenere d'occhio, perché è un po' come il sesso: non va in crisi. L'informazione in generale non va in crisi.

Ho voluto scrivere questo post più che altro per cercare di esprimere con le mie parole quanto il gossip possa essere interessante come investimento senza, purtroppo, addentrarmi molto dal punto di vista economico e finanziario come avevo scritto all'inizio. Tutto ciò solo perché non ho informazioni sufficienti a riguardo. Informazioni che cercherò di raccogliere e rielaborare, mettendo sul piatto qualche mio spunto anche su qualche impresa già presente sul mercato che sta elaborando strategie per differenziarsi ed ottenere vantaggi competitivi. Stay tuned.



Lo studente, Matthew Shod


lunedì 10 agosto 2015

Il mito del Trading Online




Quante volte navigando sui siti internet trovate pubblicità che vi suggeriscono di fare trading online? Pubblicità che vi promettono facili guadagni con poche ore di lavoro? Basta solo registrarsi, effettuare un deposito e addirittura vi danno un bonus gratis.

Oramai sono ovunque, questi banner pubblicitari dominano siti e blog promettendo centinaia o migliaia di euro di guadagni senza la necessità di alcuna conoscenza finanziaria. Ecco, questo è proprio ciò che intendevo in uno dei post precedenti 'Speculator or value investors? why value value?', nel quale dicevo che le persone sono affamate dai soldi facili. Il problema è che se si va allo sbaraglio si rischia di perdere tutto. Molti miei amici, senza alcuna conoscenza della materia, quando gli ho detto che facevo virtual trading, loro stessi mi dissero che ci volevano provare o che ci stavano provando. Fin che fai trading virtuale è un conto, ben diverso è quando lo fai davvero e non sai cosa stai facendo o come funziona. Ad ogni modo è il concetto di base che è sbagliato. Anche se non stai utilizzando davvero i tuoi soldi, rischi di convincerti di essere bravo perchè magari vedi che guadagni (per pura fortuna), quindi decidi di provarci investendo i tuoi risparmi. Fino ad allora eri rilassato perché non utilizzavi soldi veri, ma ora che stai rischiando veramente ti può prendere il panico e questo si aggiunge alla tua impreparazione nell'affrontare la situazione.

Però non è illegale utilizzare questi siti anche per chi non sa come funziona la borsa o non sa come valutare le azioni, quindi uno è liberissimo di farlo. In queste situazioni ci si avvicina al gioco d'azzardo. Si rischia tanto per guadagnare tanto se va bene e perdere tutto se va male. Magari colui che sta investendo non sa nemmeno cosa significhi diversificare o la differenza tra un'azione ed una obbligazione, ma utilizza il suo denaro per acquistarle. Non è cosciente del fatto che ha appena comprato un pezzetto di un'azienda nel primo caso ed un pezzetto del debito nel secondo. Questo pseudo-investitore spera che ciò che ha acquistato aumenti il proprio prezzo nel giro di poco tempo, per monetizzare e portare a casa il guadagno. Non gli interessa minimamente ciò che ha comprato, vuole solo guadagnare, speculare, fare soldi.

Altro problema. Questi piccoli investitori, che investitori non sono, hanno possibilità finanziarie limitate, quindi i costi di transazione possono rivelarsi onerosi, in termini di percentuale, sul totale investito.







Come detto prima, non sanno cosa sia o come attuare una buona diversificazione. Rischiano di mettere tutte le uova nello stesso paniere. Se il mercato è in una fase di tensione a fine giornata si rischia di vedere il conto in rosso. Questi "investitori" si spaventano e nell seduta in corso o in quella successiva cominciano a vendere all'impazzata, provocando una spirale di vendite e i prezzi crollano ancora di più.

Questo è proprio ciò che è accaduto in Cina in queste settimane. Il governo ha varato piani che incentivassero i singoli risparmiatori ad investire in borsa. Questi, addirittura, si indebitavano per poter speculare, aumentando la propria leva e di conseguenza il proprio rischio. Nel momento in cui alcuni hanno cominciato a disinvestire e nel momento in cui sono usciti i dati macroeconomici cinesi, i quali erano più bassi della aspettative degli analisti, i prezzi hanno cominciato a flettere e tutti sono corsi a vendere. Il valore fondamentale di ciò che si aveva in portafoglio non veniva minimamente considerato ed il comportamento degli operatori era verso un'unica direzione. Il comportamento imitativo è dato. In questi casi i miliardi di euro che vengono immessi nel mercato da questi piccoli operatori si muovono tutti in un'unica direzione ed i pochi contrarians non riescono a mantenere stabili le quotazioni. Il risultato è che nessuno fa proprie valutazioni, ma si seguono le major. Se tutti comprano anche loro compro, se tutti vendono anche loro vendono. I fondamentali vanno a farsi friggere.

Se un neofita volesse investire deve farlo con l'aiuto di qualcuno. Non utilizzare i "Manual for Dummies". Chiunque li compri oltre ad essere un dummies è anche un boccalone. Il piccolo investitore dovrebbe cercare qualcuno DI CUI FIDARSI al quale affidare il proprio patrimonio. Il proprio banchiere di fiducia, un amico fidato, un parente, ecc... Il problema qui potrebbe essere trovare questa persona, ma questo un altro discorso.

Il succo di tutto questo discorso è che i soldi non cadono giù dagli alberi e di certo non esistono manuali che ti insegnano come farli. La speculazione è diventata di moda e sfido chiunque a sostenere il contrario. La possibilità di soldi facili viene pubblicizzata in ogni angolo del web e dei principali media, senza tenere in considerazione chi raggiunge questa pubblicità. Se uno va in banca e vuole aprire un conto per speculare sull'oro attraverso i futures non glielo fanno fare se non ha una certa cultura o esperienza, mentre lo può fare se fa tutto per conto suo attraverso una delle miriade di siti che te lo propongono. Ognuno può decidere liberamente cosa fare dei propri sol
di, ma se davvero te li vuoi giocare tutti in borsa per me sei davvero cretino. Il termine 'giocare' non è casuale, perchè davvero li stai giocando come se fossi al casinò o alle macchinette. Stai solo rischiando di buttare via soldi che hai guadagnato con fatica e magari risparmiato in molti anni. Il consiglio è di non farsi prendere dalla foga, ma investire in modo consapevole, sapendo esattamente quello che fai o sapere a chi affidarli. Coloro che sono dall'altra parte non aspettano altro che avere di fronte investitori con le tasche gonfie, proprio come in una bisca clandestina. Ma dopotutto, questo è solo il consiglio di un piccolo studente di finanza.



Lo studente, Matthew Shod


venerdì 31 luglio 2015

Investire in Procter&Gamble?





La Procter and Gamble Company (P&G) è focalizzata sulla fornitura di beni di consumo. I prodotti della società sono venduti in oltre 180 paesi, in primo luogo tramite la grande distribuzione, negozi di alimentari, negozi di proprietà e di quartiere. Servono molti consumatori nei mercati emergenti operando in circa 80 paesi. P&G è composta da tre unità di business globali: bellezza e cura del corpo, salute e benessere e cura della casa. E’ davvero una società interessante e, a mio avviso, diventa sempre più appetibile, perché rispetto ad inizio 2015 dove quotava più di 90 dollari, ad oggi (31/07/15) è circa sui 77.

I vantaggi competitivi sono indiscussi. Circa 2 miliardi di persone utilizzano un prodotto P&G ogni giorno e la società ha dichiarato di voler aumentare di 1 miliardo questo numero…ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. I vantaggi competitivi sono uno dei fattori su cui molti si concentrano per la valutazione di un’impresa. Questo titolo si trova nei portafogli di circa 13 miliardari, tra i quali anche il mio idolo Warren Buffet. La sua capillarità a livello mondiale, la sua diversificazione e il suo numero spropositato di marchi, rende P&G una delle multinazionali più appetibili al mondo a mio avviso, se si riuscisse ad acquistarla ad un buon prezzo o almeno ad un prezzo in linea col suo valore fondamentale.

Procter&Gamble è un titolo difensivo che opera in un settore a basso rischio come quello dei consumi non ciclici. Caratteristica di questo tipo di titoli è quella di avere un andamento spesso completamente slegato dall'andamento generale del mercato, di offrire buoni dividendi agli azionisti e di mantenere una certa solidità nei livelli di quotazione. Nel caso particolare di Procter & Gamble la forza dei marchi e la diversificazione planetaria dell'attività rendono il titolo particolarmente adatto a offrire un valido rifugio nelle fasi negative del mercato. Con questo voglio dire che indipendentemente dal momento in cui lo si compra o dal momento in cui lo si ha in portafoglio, non viene influenzato dalle fasi negative del ciclo economico dato che si tratta di un’impresa che produce e commercializza beni che vengono utilizzati tutti i giorni. Altri settori, come quello tech, al contrario, ne risentono molto. In questo senso P&G cavalca l’onda della tecnologia per migliorare le fasi della filiera in cui opera, non interviene direttamente, dato che opera in un settore totalmente passivo sotto questo punto di vista.

Inutile stare ad elencare tutti i brandi di proprietà di P&G, ma recentemente ha ceduto circa 43 marchi di bellezza alla Società Coty per 12,5 miliardi di dollari ed il marchio e l’azienda Duracell alla Berkshire Hathawaym per 4,5 miliardi di dollari. La ratio si pone in un cambiamento di rotta deciso dall’attuale CEO A.G. Lafley, il quale ha deciso di concentrarsi sui migliori prodotti e mercati. Questa scelta strategica di cessione dei brand non-core ha lo scopo di migliorare la debole crescita della società degli ultimi anni. Motivo in più per scegliere di investire in P&G perché, se questa non riusciva a sfruttare tali brand al meglio, la scelta del disinvestimento è sempre ottima cosa e non deve essere sempre vista come un fallimento del management.

Altro fattore interessante da considerare sono i dividendi. I dati seguenti sono un po’ datati, ma è giusto per rendere l’idea. Se aveste investito 1.000 $ in P&G nel 1990, nel 2012 dal vostro investimento totale (compresi i dividendi) avreste ottenuto il 1.675%. Investire in Procter & Gamble all'inizio del 1990 avrebbe trasformato 1.000 dollari in 17.754 $ (il rendimento del 1.398%, più l'investimento iniziale). Il tasso di crescita annuale composto è di circa l’11,80%. Ad oggi, il dividend yield è di oltre il 3.3%. Molti investitori ritengono che investire in titoli con il solo scopo di ottenere alti dividendi sia una magra consolazione. Altri invece, hanno fatto di questi titoli la loro fortuna. Il mondo degli investitori è molto segmentato in questo senso. Io ritengo che P&G sia una società solida, multinazionale, con enormi vantaggi competitivi e che abbia una storia di crescita dei dividendi migliori in assoluto. Guardare solo ai dividendi probabilmente è una visione miope, ma se combiniamo questo pregio con tutti i fattori precedenti vediamo che P&G potrebbe essere un buon affare. Dico potrebbe, perché dipende qual è il prezzo a cui si investe.

Il 30 luglio 2015 è uscito sul web che Procter&Gamble ha chiuso il quarto trimestre fiscale, terminato il 30 giugno, con vendite in calo per il sesto trimestre di fila, zavorrata dal dollaro forte. Comunque per quanto mi riguarda, rimane una securities attraente in particolare per i suoi vantaggi competitivi, ma è giusto considerare tutti i fattori che ne influenzano i risultati contabili.

Facendo un riassunto, le motivazioni che potrebbero spingermi ad investire in P&G sono le seguenti:

  • vantaggi competitivi consolidati. La sua storia di quasi 180 anni la rende una delle multinazionali più longeve del mondo e con una storia in termini contabili e di cash flows da far invidia alla maggior parte delle altre multinazionali, la rende una securities da ‘BUY AND HOLD’.
  • Non ha andamenti ciclici. Produce e commercializza beni di consumo sempre necessari, indipendentemente dalla fase storica in cui ci troviamo.
  • Il target price, secondo me, si aggira intorno ai 70 dollari. Nel momento in cui ci si avvicina a quella cifra si può pensare di acquistarla. Se dovesse addirittura scendere sotto i 70 io non ci penserei due volte. Se si ha la disponibilità economica è bene acquistare un bel pacchetto azionario, per poi poter disinvestire in parte quando il prezzo raggiunge i 90-94 dollari, come avvenuto ad inizio 2015. Ma in generale deve rimanere un must nel portafoglio: BUY AND HOLD!
  • Ottimi dividendi. Uno dei dividend yield più alti della storia, consente di aver cash flows continui in modo da poter sfruttare nuove opportunità di investimento che si possono presentare al momento, se non si hanno esigenze di consumo. Oppure pensare di reinvestirli nelle stesse azioni P&G.

Rimane comunque un titolo buy and hold, non mi stancherò mai di ripeterlo. Nella costruzione di qualsiasi portafoglio dovrebbe rientrarci, indipendentemente dal metodo utilizzato per la sua costruzione e dall’avversione al rischio dell’investitore dato che si tratta di un titolo difensivo. Nel momento in cui comincerò seriamente ad investire sui mercati finanziari questa è una securities che controllerò day-to-day, cercando il momento migliore in cui entrare per poi non uscire mai o uscire solo in parte in determinate finestre temporali. Allocare il risparmio in queste aziende è esattamente quello che si dice allocare i capitali in maniera efficiente. Ma dopotutto, questa è solo l’opinione di uno studente di finanza.




Lo studente, Matthew Shod


martedì 28 luglio 2015

Lo Stato: socio occulto o creditore privilegiato?


Mi piacerebbe sapere se gli imprenditori vedono di più lo Stato come un socio occulto oppure come un creditore privilegiato. Le differenze sono tante sotto questi due punti di vista, anche se non sembra. Il fatto di dovere pagare le imposte e le tasse è cosa certa in qualunque Paese risieda la società, ma è ovvio che le differenze di aliquota e le tipologie di tasse-imposte possono molto diverse da Stato a Stato.

Se si considera lo Stato come un socio occulto, questo dovrebbe portare delle competenze o conoscenze alla società, ma così non è o almeno non direttamente. Inoltre dovrebbe essere in un qualche modo più o meno alla pari con gli altri soci in termini di diritti, ma così non è. Infatti, dovrebbe partecipare anche alle perdite (vedi Patto Leonino), ma pensare che lo Stato partecipi alle perdite di una società fa venire proprio da ridere. Continuando, dovrebbe essere chiamato in causa nei casi in cui ci siano inchieste aperte sulla società e ancora una volta mi scappa da ridere pensare a questa affermazione.

Quindi lo Stato non può essere considerato un socio, anche se occulto. La posizione in cui esso si trova è molto più simile a quella di un creditore privilegiato. Molto privilegiato. Invece che prestare soldi , tale creditore offre servizi come strade, ponti, istruzione, sanità, possibilità di inquinare l’aria, ecc… ed in cambio, ovviamente, pretende qualcosa. La questione che veramente mi fa arrabbiare da studente di finanza quale sono, è sentire le persone, che sono ignoranti sotto questo punto di vista, dire che gli imprenditori che delocalizzano parzialmente o totalmente all’estero la propria compagnia, sono evasori, pensano solo a loro stessi, bla bla bla… Mi piacerebbe chiedere a queste persone se mai hanno avuto problemi con la loro banca o altro creditore. Inoltre, mi piacerebbe sapere come hanno reagito a questi eventuali problemi. Sicuramente si saranno lamentati e la maggior parte di loro avrà cambiato banca a seguito di un comportamento particolarmente scorretto o poco consono ad un’istituzione quale quella dell’intermediario bancario. Bene, sotto questo punto di vista, lo Stato è esattamente come la banca. Prescindendo da motivazioni che legano l’imprenditore al paese in cui è nato e cresciuto, è perfettamente logico, razionale ed economicamente corretto che un soggetto si rivolga ad un altro creditore quando il primo è scontento del secondo. La situazione ovviamente può trasformarsi in concorrenza fiscale sleale e cattiva, ma proprio questo porta ad individuare quali sono i soggetti (cioè gli Stati in questo caso) migliori sotto questo punto di vista.

Mi si potrebbe obiettare che lo Stato, qualunque esso sia, non può essere paragonato ad un soggetto che mi fa credito, seppur sotto diversa forma e natura. Beh, non sono proprio d’accordo, perché lo Stato ha la possibilità di imporre tasse e imposte ai cittadini e le imprese, ma non ha la facoltà di vincolarli a rimanere nel Paese.

Quello che sto cercando di spiegare è che lo Stato non può essere considerato minimamente come un socio occulto, ma più che altro come un creditore estremamente privilegiato che, come un obbligazionista, pretende di essere remunerato indipendentemente dal risultato d’impresa. Detto ciò, non ha senso continuare a rimanere in un Paese che non si comporta in maniera corretta (nel senso che non richiede una remunerazione adeguata alle diverse capacità contributive).

Sono estremamente a favore della possibilità di spostare la sede legale della propria società in un Paese più mitemente tassato, anche se è vero che coloro che possono farlo sono generalmente le imprese più grandi e questo porta ad un aumento del divario in termini di ricchezza tra i percettori.




Lo studente, Matthew Shod