lunedì 30 novembre 2015

John Elkann, un impero sotto Dicembre




















Quest’estate si è parlato molto di Exor e di John Elkann, in seguito al colpo di mercato della holding finanziaria della famiglia Agnelli su L’Economist. Ad Aprile, invece, l’erede degli Agnelli aveva cominciato le contrattazioni con PartnerRe, società di riassicurazione con sede alle Bermuda, con la cui acquisizione la famiglia torinese sarebbe entrata anche nel ramo finanziario a pieno titolo. E così è stato. Poi questo Settembre, Exor è passata all’incasso, con la cessione della sua quota in Cushman&Wakefield, società immobliare statunitense. Altro grande incasso lo ha avuto lo scorso anno, vendendo la sua quota di Sgs, società svizzera di certificazione, ottenendo un’enorme plusvalenza. E queste sono solo le operazioni più recenti, alle quali possiamo aggiungere la quotazione di Ferrari a New York.
Insomma Mr. Elkann si è dato molto da fare, nonostante abbia un’infinità di impegni, essendo attualmente presidente della Fiat Chrysler Automobiles, della Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a., di Italiana EditriceCushman & Wakefield (almeno per ora), nonché presidente di Exor S.p.A. Quindi i suoi sforzi non sono rivolti solamente a quest’ultima. Impegni istituzionali legati alle società sopracitate, e non solo, gli portano via molto tempo. Nonostante ciò, si vede che gli piace fare shopping di imprese. Ovviamente non per il gusto di farlo e non perché gli piace spendere.
Come detto, molto si è parlato dell’attività di Exor e di John, però a mio avviso la cosa più interessante sarebbe, una volta ogni tanto, accennare alla strategica costruzione piramidale di imprese messa in piedi da questi signori. Ogni tanto capita di leggere qualche articolo sull’argomento, ma sono tutti poco esaurienti e soprattutto incompleti, per il semplice fatto che ilsistema è talmente tanto aggrovigliato da perdere il filo logico dopo poco che si segue. Ci vorrebbe una white board, un pennarello e tanta voglia di cominciare a disegnare i rapporti partecipativi delle società degli Agnelli e degli Elkann. Il mio scopo è quello di condensare brevemente un discorso cercando di cogliere i punti salienti.
Cominciamo dicendo che ormai le casseforti, le cassette di sicurezza, ecc… sono ormai obsolete: i veri tesori – immateriali, in senso lato – si nascondono sotto il naso di tutti. Si nascondono creando delle società, facendole diventare delle vere e proprie raccolte di partecipazioni in imprese ritenute idonee allo scopo per cui sono state acquistate. Si vanno a creare strutture piramidali talmente complesse da rendere estremamente difficile scoprire chi effettivamente le manovri. Pur non risultando essere proprietari del capitale effettivo, è possibile avere il controllo.
Prendiamo come esempio una società italiana famosa in tutto il mondo, Ferrari S.p.A. Tale società appartiene al Gruppo FCA con circa il 30% delle azioni – società controllata direttamente degli Agnelli tramite il presidente John Elkann. A sua volta FCA è controllata dalla holding finanziaria degli Agnelli/Elkann, denominata EXOR – con presidente John Elkann. Oltre il 50% delle azioni ordinarie di EXOR sono detenute dalla Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a., la prima – e sottolineo prima – cassaforte della famiglia Agnelli, che racchiude tutte la partecipazioni della famiglia torinese e di tutti i discendenti – non meno di 150 persone. Anche qui il presidente è John Elkann. Allo stesso tempo la Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a. ha una partecipazione di controllo in FCA. Cosa c’è a monte di tutto? Non è facile da capire.
Cercando sulla rete è possibile trovare articoli di un giornalista chiamato Gigi Moncalvo. Questa persona ha effettuato numerose ricerche ed ha raccolto molte informazioni sulla struttura piramidale delle cosiddette “scatole cinesi” della famiglia Agnelli. Lui come altri giornalisti che si sono occupati di questo argomento hanno definito “maestra” la famiglia Agnelli, citando Elkann come perfetto esempio del caso.
Per rispondere alla domanda precedente occorre sapere che John Elkann controlla una società chiamata Dicembre s.s. – si esatto, SOCIETA’ SEMPLICE – che ha oltre il 30% dei voti nella Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a. Anche Dicembre s.s. è stata fondata da Giovanni Agnelli. Come sicuramente saprà il lettore, le società semplici sono esentate dall’obbligo di presentare il bilancio e consentono, in un certo senso, di restare sottotraccia specie per il fisco, perché tipicamente vengono create per svolgere attività molto semplici (pesca, agricoltura, ecc…).
Questo cosa vuol dire? Considerando il fatto che tutti gli eredi della famiglia di Torino che hanno partecipazioni nella Giovanni Agnelli e C. S.a.p.a non hanno in nessun caso una partecipazione superiore al 5% – se presa ogni persona fisica singolarmente –, sono effettivamente loro che mettono il capitale, non Dicembre s.s – e quindi John Elkan. Quindi? Beh, la posizione del signor Elkann è praticamente inattaccabile dato che ha oltre il 30% dei voti attraverso la società semplice più volte menzionata. Quindi il resto della famiglia mette il capitale, ma non ha, più di tanto, voce in capitolo su ciò che accade, a meno di un’improbabile alleanza contro lo sbarbo dai capelli ricci ed il cognome americano. Così l’erede al trono di Giovanni Agnelli, l’uomo che controlla la Fiat, ha solo il 3,5% del capitale. Lui controlla e gli altri lo finanziano. Lui decide come gestire l’impero, gli altri lo finanziano. Lui decide dove, come e quando fare shopping, gli altri lo finanziano. Un sistema decisamente efficiente.


Lo studente, Matthew Shod


[Questo e molti altri miei articoli li potete trovare sul sito Neos, un blog formato da studenti universitari di cui sono collaboratore]

sabato 22 agosto 2015

Investire nella Coca-Cola? Attenzione ai cambiamenti!
















Nel 1889 ad Atlanta, Stati Uniti, un farmacista di nome John Pemberton creò una bevanda analcolica che di lì a poco sarebbe divenuta la più popolare al mondo. Attualmente il nome di tale bevanda è la seconda parola più conosciuta al mondo dopo 'OK'. Stiamo parlando della Coca-Cola.

Molte pubblicità dell'omonima compagnia hanno affermato che la ricetta che continuano a proporre è esattamente quella del farmacista. In realtà non è così. Oggi la Coca-Cola è il soft drink più conosciuto al mondo e come tale non è alcolico, mentre inizialmente era una speciale miscela di vino e foglie di coca. Ad oggi l'alcol è stato eliminato, così come il principio attivo delle foglie di coca (da cui si ricava la cocaina). In origine conteneva tracce dell'alcaloide allucinogeno e tale bevanda costava pochi centesimi a bicchiere.

Ma quello che vorrei fare non è concentrare l'attenzione sulla ricetta, ma sull'impresa multinazionale che la produce e ne detiene il marchio: The Coca-Cola Company. In particolare su alcuni aspetti di questa lobby.

La società venne quotata in borsa nel 1919, circa trent'anni dopo la nascita della ricetta. Nel 2014 ha avuto un fatturato di 46 miliardi, a fronte di un totale di bilancio di 92 miliardi, con un utile netto di 7 miliardi - tutti dati espressi in dollari. Vorrei ricordare che sono tutti dati statici e per operare un'analisi di bilancio occorre vedere la dinamica di questi valori nel tempo. Analisi del solo ROI, ROE e degli altri parametri da poche informazioni. Bisognerebbe concentrarsi sull'azienda come tale, senza stilizzarla dietro pochi indicatori - che comunque rimangono un ottimo punto di partenza.
Dall'anno di quotazione ad oggi la capitalizzazione azionaria e i total revenues sono cresciuti costantemente e solo negli ultimi hanno ceduto un po'. Se guardiamo il grafico del valore azionario di questa impresa, vediamo immediatamente che il trend è costantemente in ascesa. Solo a fine anni novanta ha visto una discesa, il cui valore, però, è stato completamente recuperato negli ultimi anni.

Lo scopo di questo post non sarà quello di fare un'analisi di bilancio di tale impresa, perchè il lettore la può fare in maniera autonoma, oppure cercare una delle miriade di soluzioni proposte da vari siti e analisti. Il nostro scopo è quello di mostrare The Coca-Cola Company sotto un determinato aspetto, lasciando al lettore decidere se è un buon affare investire in questa multinazionale oppure no.


The Coca-Cola Company ha un impero in cui vende e produce bevande analcoliche e acqua, nonchè un ampio settore dedicato al merchandising. Lasciamo stare il loro modello di business e di distribuzione e concentriamoci sui loro prodotti. Un prodotto buono - proprio per il sapore - come la Coca-Cola non esiste a mio avviso. L'unico concorrente possibile è la Pepsi, mentre gli altri tipi di cola non sono ai quei livelli. Ormai è un prodotto internazionale, venduto in più di 200 paesi al quale si affiancano altri 400 prodotti circa sotto il controllo di questa multinazionale. I suoi vantaggi competitivi sono indiscussi, tant'è che è diventato un investimento del tipo buy-and-hold di molti miliardari. E' sempre stata la bevanda per antonomasia nei fast food e, data la loro crescita capillare e l'aumento del loro giro d'affari, questi hanno trainato anche il prodotto Coca-Cola. Di certo non è conosciuta per essere una bevanda salutare. Anzi, molti hanno cercato di fare propaganda negativa sui loro prodotti, sopratutto quelli che contengono il colorante E150d, ritenuto cancerogeno.

Ora analizziamo un attimo il cambiamento del mercato. Nel caso della Coca-Cola occorre analizzare il mercato globale. Come si può notare, sopratutto nei paesi occidentali ed in quelli sviluppati, si sta manifestando - con le ultime due generazioni - un aumento dei fenomeni di allergie ed intolleranze ad alimenti, tipi di piante, ecc... Nonchè fenomeni di asma sempre più frequenti nei giovanissimi ed un aumento spropositato dei fenomeni di celiachia. Quello che vorrei far notare è questo. Il mondo sta cambiando, sopratutto dal punto di vista alimentare e della salute. Oltre ai fatti descritti precedentemente vorrei aggiungere l'aumento - e la conseguente lotta - dell'obesità ed un maggiore sviluppo della cultura della buona alimentazione. Questi sono fenomeni che potrebbero contrastare l'ascesa, ed anche il solo mantenimento, dei ricavi di multinazionali come la Coca- Cola, la Nestlè, ecc... Nei paesi industrializzati la sensibilizzazione in queste materie sta cominciando a diventare sempre più forte. Ovviamente diverso è nei paesi più poveri o in via di sviluppo. Anzi. In questi paesi, se ci pensiamo bene, bevande di questo tipo (ricche di zuccheri e dal sapore "che ti sveglia") potrebbero aiutare la popolazione. Quello che sto cercando di dire è quanto segue. Il mercato della Coca-Cola e degli altri soft drinks affini potrebbe spostarsi, negli anni a venire, dai mercati più grandi e redditizi a quelli più piccoli - attualmente - e meno redditizi. La conseguenza sarebbe, certamente, un obbligato cambio nel modello di business, una diminuzione dei prezzi e quindi dei ricavi - se la direzione deciderà di continuare sulla strada dei prodotti core. Quando dico 'anni a venire' intendo molto molto a venire. Secondo me non sarà una cosa che vedremo molto velocemente. Ad ogni modo questo può far pensare il lettore e gli attuali investitori.


C'è un però. Un enorme, gigantesco però.


The Coca-Cola Company è una enorme multinazionale. Una potente lobby. Un'istituzione, ormai. Di centro non si fa mettere i piedi in testa molto facilmente. Basta accorgersene durante le campagne elettorali per le presidenziali americane. A queste lobby non interessa chi andrà al potere e non hanno un colore politico. Tutte, e sottolineo tutte, finanziano sia i partiti democratici che repubblicani. Non sono cose campate per aria, cercate su internet e lo potrete constatare. Tutta questa tiritera politica è solo per dire una cosa. Anche se il mercato dei soft drinks analcolici cambierà, The Coca-Cola Company potrà avere una determinata influenza anche nella politica e rallentare il processo di cambiamento, per poi cavalcare l'onda del momento. E' troppo grande, troppo forte. Recentemente abbiamo visto che l'azzardo morale dei Too Big Too Fail può portare a bruttissime conseguenze (vedi Lehman Brothers), ma qui non stiamo parlando del settore finanziario. Qui parliamo di economia reale, dove non si gioca a leva. Le cose sono molto diverse. The Coca-Cola Company riuscirà bene ad adeguarsi ai mutamenti.


Quello che un piccolo studente di finanza sta dicendo è che la Coca-Cola non potrà rimanere in steady state in eterno come molti investitori possono ritenere. E' un atteggiamento da contrarian rispetto a quello del mio idolo Warren Buffett. Ritengo che il modello di business di questa impresa si modificherà negli anni. Ad oggi la quotazione azionaria della KO è ad uno dei più alti livelli della sua storia (sui 40 dollari più o meno), quindi non conviene investire ora. Ma sappiamo che il mercato è molto molto emotivo. Appena le cose cominciano a cambiare si spaventa e secondo me è quello che succederà con la Coca-Cola nei prossimi (prossimi) anni. Le quotazioni scenderanno di molto e solo chi sarà talmente visionario da rendersi conto di cosa sta succedendo, quali siano le occasioni del momento ed i modi di reagire, riuscirà a trarne enormi profitti. Sfruttando l'emotività del mercato si potrebbe comprare qualcosa di enorme valore intrinseco al prezzo di una cassa di Coca-Cola. Da li in poi il management, che non è stupido, capirà che il modello di business non potrà più funzionare e si muoverà di conseguenza. Oppure potrebbe muoversi anche in anticipo. The Coca-Cola Company come la conosciamo oggi potrebbe mutare talmente tanto da divenire irriconoscibile, perchè il mercato, i consumatori e gli investitori, nel futuro, vorranno altro. Non più solo acqua zuccherata e coloranti, ma un prodotto nuovo. Magari si sposterà anche in un settore diverso, ma questo non lo credo. Ciononostante possiamo notare una cosa. I maggiori incrementi nelle vendite sono stati nei prodotti LIGHT e ZERO, cioè quelli a basse calorie o con calorie assenti. C'è di più. Se cercate nel web, troverete che la Coca-Cola è stata vittima di spionaggio industriale, ma non per quanto riguarda la ricetta originale della famosa bevanda, bensì per un nuovo soft drink a "calorie negative". Questo in parte sostiene la mia tesi ed in parte no. C'è sempre maggior attenzione verso il peso e la linea, ma un po' meno verso la salute. Probabilmente le cose cambieranno anche sotto quel punto di vista e sarà proprio quello il momento della svolta.

Se qualcuno riuscisse ad accorgersi quando e se il momento della svolta è imminente, troverà una grande fortuna dietro l'angolo. Il mio futuro investimento in Coca-Cola si baserà proprio su questo, perchè credo veramente in quello che dico. A questo punto vorrei il parere di uno dei big della Coca-Cola, per sentirmi dire che sono solo un piccolo studente di finanza.




Lo studente, Matthew Shod


martedì 18 agosto 2015

Il nuovo oro, si chiama Gossip
















Gossip. Sinonimo di pettegolezzo. Fin da quando si è piccoli si sperimenta tra i banchi di scuola, con i propri amichetti. Quando gli ormoni cominciano a scalpitare si ricercano notizie sulla bella o il bello di turno, per avere informazioni da sfruttare a proprio vantaggio o anche solo per non rimanere estraneo ai discorsi più frizzanti del momento, in quanto potrebbero farci sentire un po' esclusi. Poi, quando si diventa più grandi, si trasforma quasi in una routine. Non vi sembrerà, ma ogni giorno, anche involontariamente, ci giungono notizie di gossip a camionate. Testate giornalistiche specializzate, blog, siti web, pubblicità, canali TV. Tutti incentrati su un'unica cosa: carpire la notizia più piccante del momento.

Ma non siamo qui per fare gossip o per girarci attorno cercando di accaparrare qualche lettore interessato all'ultima fiamma di qualche vip. Siamo qui per parlarne dal punto di vista economico. Potrebbe essere interessante investire nel gossip?

Diamo qualche numero. Se si googla "giro d'affari del gossip" non si trova granché. Alla sola parola 'gossip' vengono abbinati centinaia di siti che sovrastano le altre parole utilizzate per la ricerca. Ad ogni modo è possibile trovare velocemente un articolo de "La Repubblica" datato 2011 (un po' vecchio quindi) nel quale si descrive, appunto, il giro d'affari del gossip. Solo in America varrebbe 3 miliardi di dollari ed a mio avviso la cifra è stata stimata al ribasso. Inoltre viene descritto che una testata giornalistica, sempre americana, avrebbe offerto 2 milioni di dollari all'obitorio in cui era custodita la salma di Michael Jackson per avere una foto in esclusiva del corpo del re del pop. Roba da matti.

Tutto questo per dire quanto possano essere infuocati i giornali e i paparazzi, pagando fior di quattrini per pochi scatti o un'intervista. Ma questo vuol dire che se pagano migliaia o milioni di euro per una foto, vuol dire che hanno anche stratosferici tornaconti economici.

I giornali ed i siti specializzati hanno spesso lettori fissi e una miriade di lettori saltuari che sono alla caccia dell'ultima notizia. Intorno al pettegolezzo si è creata una nuvola di denaro da far girare la testa. Sopratutto le nuove generazioni sono sempre più invase da notizie di questo tipo, anche perché più legate alla tecnologia e perché hanno molto più tempo libero. Ma non è solo colpa dell'evoluzione della tecnologia e del fattore tempo. Questi tipi di informazioni vengono proprio ricercate, quindi i lettori giocano un ruolo attivo. Se un rumors afferma che Di Caprio esce con un nuovo angelo di Victoria Secret's, i motori di ricerca vengono invasi.



Probabilmente una volta era diverso. Certo esistevano giornali di gossip, ma sicuramente erano molti meno, con meno risorse per ottenere le informazioni e con molti meno lettori. Più che altro le notizie giravano a voce. Basti pensare alle pettegole del quartiere e tutte le varie storie che girano nei piccoli paesini. Una volta quello era il vero gossip. Oggi è mutato, cambiato. E' peggiorato a mio avviso, è diventato molto più invadente, ossessivo e virale. Ma anche più profittevole.

Si potrebbe pensare che siano per lo più le ragazze che si dedicano al gossip, ed in effetti è proprio così. Ma l'interesse del sesso forte su tale argomento è in notevole aumento. Sempre a caccia di notizie sulla modella che si è visti in TV, per scoprire con chi è fidanzata in quel momento, tanto per fare un esempio. Quindi la clientela ed il target di età si sta gonfiano sempre di più. Questo rende il business del gossip un settore interessante in cui investire. Aumento dei customers, ampliamento del range di età, ampliamento delle piattaforme su cui riversare le notizie, ma anche ampliamento della concorrenza. Per molti è diventata anche una passione.

Io NON sono assolutamente un appassionato di gossip. Questa tipologia di informazione non mi tocca minimamente. Questo per dire una semplice cosa. Sono fermamente convinto che uno debba investire solamente in ciò che conosce, questo anche a ragion di logica. Purtroppo, quando si parla di finanza ed investimenti spesso la logica non la fa da padrona. Basta guardare ai recenti sviluppi in Cina, alla bolla delle .com negli anni duemila e così via. Però...c'è un però!

Le cose possono cambiare. E' vero che il gossip non è di mio interesse, ma è di mio interesse la ricerca di ottimi investimenti. Al momento non ho informazioni per dire che quell'impresa di gossip è meglio di quell'altra, perché non ne ho veramente la minima idea. So solo una cosa, cioè che il business del gossip è da tenere d'occhio. E' un business altamente dinamico e competitivo. Sia per quanto riguarda i mezzi attraverso cui far transitare le notizie, sia per le metodologie con cui ottenere le informazioni prima di tutti gli altri. Un business che devia dalla solita cronaca giornaliera. Sono notizie che fanno emozionare le persone, le fanno parlare per ore e ore ed interagire. Il gossip è social.

In un mondo in cui si è ormai dominati dai social network, un business che si muove parallelamente è proprio il gossip. La ricerca di un'impresa che possegga vantaggi competitivi in questo settore però è cose molto ardua. Non è come in investire in un'impresa industriale e commerciale, la quale implementa programmi di R&D per sviluppare nuovi prodotti e poi brevettarli e non è neanche una classica impresa di servizi, in cui si impacchettano i servizi. Stiamo parlando di informazione. Un intagibles che ha enormi poteri in alcuni casi. Creare e distruggere colossi, celebrità e causare parecchi problemi a Stati e istituzioni. Notizie che fanno scalpitare la gente, quasi come una droga. Un business. Davvero interessante quello che riguarda il pettegolezzo, aggiungerei. Da tenere d'occhio, perché è un po' come il sesso: non va in crisi. L'informazione in generale non va in crisi.

Ho voluto scrivere questo post più che altro per cercare di esprimere con le mie parole quanto il gossip possa essere interessante come investimento senza, purtroppo, addentrarmi molto dal punto di vista economico e finanziario come avevo scritto all'inizio. Tutto ciò solo perché non ho informazioni sufficienti a riguardo. Informazioni che cercherò di raccogliere e rielaborare, mettendo sul piatto qualche mio spunto anche su qualche impresa già presente sul mercato che sta elaborando strategie per differenziarsi ed ottenere vantaggi competitivi. Stay tuned.



Lo studente, Matthew Shod


lunedì 10 agosto 2015

Il mito del Trading Online




Quante volte navigando sui siti internet trovate pubblicità che vi suggeriscono di fare trading online? Pubblicità che vi promettono facili guadagni con poche ore di lavoro? Basta solo registrarsi, effettuare un deposito e addirittura vi danno un bonus gratis.

Oramai sono ovunque, questi banner pubblicitari dominano siti e blog promettendo centinaia o migliaia di euro di guadagni senza la necessità di alcuna conoscenza finanziaria. Ecco, questo è proprio ciò che intendevo in uno dei post precedenti 'Speculator or value investors? why value value?', nel quale dicevo che le persone sono affamate dai soldi facili. Il problema è che se si va allo sbaraglio si rischia di perdere tutto. Molti miei amici, senza alcuna conoscenza della materia, quando gli ho detto che facevo virtual trading, loro stessi mi dissero che ci volevano provare o che ci stavano provando. Fin che fai trading virtuale è un conto, ben diverso è quando lo fai davvero e non sai cosa stai facendo o come funziona. Ad ogni modo è il concetto di base che è sbagliato. Anche se non stai utilizzando davvero i tuoi soldi, rischi di convincerti di essere bravo perchè magari vedi che guadagni (per pura fortuna), quindi decidi di provarci investendo i tuoi risparmi. Fino ad allora eri rilassato perché non utilizzavi soldi veri, ma ora che stai rischiando veramente ti può prendere il panico e questo si aggiunge alla tua impreparazione nell'affrontare la situazione.

Però non è illegale utilizzare questi siti anche per chi non sa come funziona la borsa o non sa come valutare le azioni, quindi uno è liberissimo di farlo. In queste situazioni ci si avvicina al gioco d'azzardo. Si rischia tanto per guadagnare tanto se va bene e perdere tutto se va male. Magari colui che sta investendo non sa nemmeno cosa significhi diversificare o la differenza tra un'azione ed una obbligazione, ma utilizza il suo denaro per acquistarle. Non è cosciente del fatto che ha appena comprato un pezzetto di un'azienda nel primo caso ed un pezzetto del debito nel secondo. Questo pseudo-investitore spera che ciò che ha acquistato aumenti il proprio prezzo nel giro di poco tempo, per monetizzare e portare a casa il guadagno. Non gli interessa minimamente ciò che ha comprato, vuole solo guadagnare, speculare, fare soldi.

Altro problema. Questi piccoli investitori, che investitori non sono, hanno possibilità finanziarie limitate, quindi i costi di transazione possono rivelarsi onerosi, in termini di percentuale, sul totale investito.







Come detto prima, non sanno cosa sia o come attuare una buona diversificazione. Rischiano di mettere tutte le uova nello stesso paniere. Se il mercato è in una fase di tensione a fine giornata si rischia di vedere il conto in rosso. Questi "investitori" si spaventano e nell seduta in corso o in quella successiva cominciano a vendere all'impazzata, provocando una spirale di vendite e i prezzi crollano ancora di più.

Questo è proprio ciò che è accaduto in Cina in queste settimane. Il governo ha varato piani che incentivassero i singoli risparmiatori ad investire in borsa. Questi, addirittura, si indebitavano per poter speculare, aumentando la propria leva e di conseguenza il proprio rischio. Nel momento in cui alcuni hanno cominciato a disinvestire e nel momento in cui sono usciti i dati macroeconomici cinesi, i quali erano più bassi della aspettative degli analisti, i prezzi hanno cominciato a flettere e tutti sono corsi a vendere. Il valore fondamentale di ciò che si aveva in portafoglio non veniva minimamente considerato ed il comportamento degli operatori era verso un'unica direzione. Il comportamento imitativo è dato. In questi casi i miliardi di euro che vengono immessi nel mercato da questi piccoli operatori si muovono tutti in un'unica direzione ed i pochi contrarians non riescono a mantenere stabili le quotazioni. Il risultato è che nessuno fa proprie valutazioni, ma si seguono le major. Se tutti comprano anche loro compro, se tutti vendono anche loro vendono. I fondamentali vanno a farsi friggere.

Se un neofita volesse investire deve farlo con l'aiuto di qualcuno. Non utilizzare i "Manual for Dummies". Chiunque li compri oltre ad essere un dummies è anche un boccalone. Il piccolo investitore dovrebbe cercare qualcuno DI CUI FIDARSI al quale affidare il proprio patrimonio. Il proprio banchiere di fiducia, un amico fidato, un parente, ecc... Il problema qui potrebbe essere trovare questa persona, ma questo un altro discorso.

Il succo di tutto questo discorso è che i soldi non cadono giù dagli alberi e di certo non esistono manuali che ti insegnano come farli. La speculazione è diventata di moda e sfido chiunque a sostenere il contrario. La possibilità di soldi facili viene pubblicizzata in ogni angolo del web e dei principali media, senza tenere in considerazione chi raggiunge questa pubblicità. Se uno va in banca e vuole aprire un conto per speculare sull'oro attraverso i futures non glielo fanno fare se non ha una certa cultura o esperienza, mentre lo può fare se fa tutto per conto suo attraverso una delle miriade di siti che te lo propongono. Ognuno può decidere liberamente cosa fare dei propri sol
di, ma se davvero te li vuoi giocare tutti in borsa per me sei davvero cretino. Il termine 'giocare' non è casuale, perchè davvero li stai giocando come se fossi al casinò o alle macchinette. Stai solo rischiando di buttare via soldi che hai guadagnato con fatica e magari risparmiato in molti anni. Il consiglio è di non farsi prendere dalla foga, ma investire in modo consapevole, sapendo esattamente quello che fai o sapere a chi affidarli. Coloro che sono dall'altra parte non aspettano altro che avere di fronte investitori con le tasche gonfie, proprio come in una bisca clandestina. Ma dopotutto, questo è solo il consiglio di un piccolo studente di finanza.



Lo studente, Matthew Shod


venerdì 31 luglio 2015

Investire in Procter&Gamble?





La Procter and Gamble Company (P&G) è focalizzata sulla fornitura di beni di consumo. I prodotti della società sono venduti in oltre 180 paesi, in primo luogo tramite la grande distribuzione, negozi di alimentari, negozi di proprietà e di quartiere. Servono molti consumatori nei mercati emergenti operando in circa 80 paesi. P&G è composta da tre unità di business globali: bellezza e cura del corpo, salute e benessere e cura della casa. E’ davvero una società interessante e, a mio avviso, diventa sempre più appetibile, perché rispetto ad inizio 2015 dove quotava più di 90 dollari, ad oggi (31/07/15) è circa sui 77.

I vantaggi competitivi sono indiscussi. Circa 2 miliardi di persone utilizzano un prodotto P&G ogni giorno e la società ha dichiarato di voler aumentare di 1 miliardo questo numero…ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. I vantaggi competitivi sono uno dei fattori su cui molti si concentrano per la valutazione di un’impresa. Questo titolo si trova nei portafogli di circa 13 miliardari, tra i quali anche il mio idolo Warren Buffet. La sua capillarità a livello mondiale, la sua diversificazione e il suo numero spropositato di marchi, rende P&G una delle multinazionali più appetibili al mondo a mio avviso, se si riuscisse ad acquistarla ad un buon prezzo o almeno ad un prezzo in linea col suo valore fondamentale.

Procter&Gamble è un titolo difensivo che opera in un settore a basso rischio come quello dei consumi non ciclici. Caratteristica di questo tipo di titoli è quella di avere un andamento spesso completamente slegato dall'andamento generale del mercato, di offrire buoni dividendi agli azionisti e di mantenere una certa solidità nei livelli di quotazione. Nel caso particolare di Procter & Gamble la forza dei marchi e la diversificazione planetaria dell'attività rendono il titolo particolarmente adatto a offrire un valido rifugio nelle fasi negative del mercato. Con questo voglio dire che indipendentemente dal momento in cui lo si compra o dal momento in cui lo si ha in portafoglio, non viene influenzato dalle fasi negative del ciclo economico dato che si tratta di un’impresa che produce e commercializza beni che vengono utilizzati tutti i giorni. Altri settori, come quello tech, al contrario, ne risentono molto. In questo senso P&G cavalca l’onda della tecnologia per migliorare le fasi della filiera in cui opera, non interviene direttamente, dato che opera in un settore totalmente passivo sotto questo punto di vista.

Inutile stare ad elencare tutti i brandi di proprietà di P&G, ma recentemente ha ceduto circa 43 marchi di bellezza alla Società Coty per 12,5 miliardi di dollari ed il marchio e l’azienda Duracell alla Berkshire Hathawaym per 4,5 miliardi di dollari. La ratio si pone in un cambiamento di rotta deciso dall’attuale CEO A.G. Lafley, il quale ha deciso di concentrarsi sui migliori prodotti e mercati. Questa scelta strategica di cessione dei brand non-core ha lo scopo di migliorare la debole crescita della società degli ultimi anni. Motivo in più per scegliere di investire in P&G perché, se questa non riusciva a sfruttare tali brand al meglio, la scelta del disinvestimento è sempre ottima cosa e non deve essere sempre vista come un fallimento del management.

Altro fattore interessante da considerare sono i dividendi. I dati seguenti sono un po’ datati, ma è giusto per rendere l’idea. Se aveste investito 1.000 $ in P&G nel 1990, nel 2012 dal vostro investimento totale (compresi i dividendi) avreste ottenuto il 1.675%. Investire in Procter & Gamble all'inizio del 1990 avrebbe trasformato 1.000 dollari in 17.754 $ (il rendimento del 1.398%, più l'investimento iniziale). Il tasso di crescita annuale composto è di circa l’11,80%. Ad oggi, il dividend yield è di oltre il 3.3%. Molti investitori ritengono che investire in titoli con il solo scopo di ottenere alti dividendi sia una magra consolazione. Altri invece, hanno fatto di questi titoli la loro fortuna. Il mondo degli investitori è molto segmentato in questo senso. Io ritengo che P&G sia una società solida, multinazionale, con enormi vantaggi competitivi e che abbia una storia di crescita dei dividendi migliori in assoluto. Guardare solo ai dividendi probabilmente è una visione miope, ma se combiniamo questo pregio con tutti i fattori precedenti vediamo che P&G potrebbe essere un buon affare. Dico potrebbe, perché dipende qual è il prezzo a cui si investe.

Il 30 luglio 2015 è uscito sul web che Procter&Gamble ha chiuso il quarto trimestre fiscale, terminato il 30 giugno, con vendite in calo per il sesto trimestre di fila, zavorrata dal dollaro forte. Comunque per quanto mi riguarda, rimane una securities attraente in particolare per i suoi vantaggi competitivi, ma è giusto considerare tutti i fattori che ne influenzano i risultati contabili.

Facendo un riassunto, le motivazioni che potrebbero spingermi ad investire in P&G sono le seguenti:

  • vantaggi competitivi consolidati. La sua storia di quasi 180 anni la rende una delle multinazionali più longeve del mondo e con una storia in termini contabili e di cash flows da far invidia alla maggior parte delle altre multinazionali, la rende una securities da ‘BUY AND HOLD’.
  • Non ha andamenti ciclici. Produce e commercializza beni di consumo sempre necessari, indipendentemente dalla fase storica in cui ci troviamo.
  • Il target price, secondo me, si aggira intorno ai 70 dollari. Nel momento in cui ci si avvicina a quella cifra si può pensare di acquistarla. Se dovesse addirittura scendere sotto i 70 io non ci penserei due volte. Se si ha la disponibilità economica è bene acquistare un bel pacchetto azionario, per poi poter disinvestire in parte quando il prezzo raggiunge i 90-94 dollari, come avvenuto ad inizio 2015. Ma in generale deve rimanere un must nel portafoglio: BUY AND HOLD!
  • Ottimi dividendi. Uno dei dividend yield più alti della storia, consente di aver cash flows continui in modo da poter sfruttare nuove opportunità di investimento che si possono presentare al momento, se non si hanno esigenze di consumo. Oppure pensare di reinvestirli nelle stesse azioni P&G.

Rimane comunque un titolo buy and hold, non mi stancherò mai di ripeterlo. Nella costruzione di qualsiasi portafoglio dovrebbe rientrarci, indipendentemente dal metodo utilizzato per la sua costruzione e dall’avversione al rischio dell’investitore dato che si tratta di un titolo difensivo. Nel momento in cui comincerò seriamente ad investire sui mercati finanziari questa è una securities che controllerò day-to-day, cercando il momento migliore in cui entrare per poi non uscire mai o uscire solo in parte in determinate finestre temporali. Allocare il risparmio in queste aziende è esattamente quello che si dice allocare i capitali in maniera efficiente. Ma dopotutto, questa è solo l’opinione di uno studente di finanza.




Lo studente, Matthew Shod


martedì 28 luglio 2015

Lo Stato: socio occulto o creditore privilegiato?


Mi piacerebbe sapere se gli imprenditori vedono di più lo Stato come un socio occulto oppure come un creditore privilegiato. Le differenze sono tante sotto questi due punti di vista, anche se non sembra. Il fatto di dovere pagare le imposte e le tasse è cosa certa in qualunque Paese risieda la società, ma è ovvio che le differenze di aliquota e le tipologie di tasse-imposte possono molto diverse da Stato a Stato.

Se si considera lo Stato come un socio occulto, questo dovrebbe portare delle competenze o conoscenze alla società, ma così non è o almeno non direttamente. Inoltre dovrebbe essere in un qualche modo più o meno alla pari con gli altri soci in termini di diritti, ma così non è. Infatti, dovrebbe partecipare anche alle perdite (vedi Patto Leonino), ma pensare che lo Stato partecipi alle perdite di una società fa venire proprio da ridere. Continuando, dovrebbe essere chiamato in causa nei casi in cui ci siano inchieste aperte sulla società e ancora una volta mi scappa da ridere pensare a questa affermazione.

Quindi lo Stato non può essere considerato un socio, anche se occulto. La posizione in cui esso si trova è molto più simile a quella di un creditore privilegiato. Molto privilegiato. Invece che prestare soldi , tale creditore offre servizi come strade, ponti, istruzione, sanità, possibilità di inquinare l’aria, ecc… ed in cambio, ovviamente, pretende qualcosa. La questione che veramente mi fa arrabbiare da studente di finanza quale sono, è sentire le persone, che sono ignoranti sotto questo punto di vista, dire che gli imprenditori che delocalizzano parzialmente o totalmente all’estero la propria compagnia, sono evasori, pensano solo a loro stessi, bla bla bla… Mi piacerebbe chiedere a queste persone se mai hanno avuto problemi con la loro banca o altro creditore. Inoltre, mi piacerebbe sapere come hanno reagito a questi eventuali problemi. Sicuramente si saranno lamentati e la maggior parte di loro avrà cambiato banca a seguito di un comportamento particolarmente scorretto o poco consono ad un’istituzione quale quella dell’intermediario bancario. Bene, sotto questo punto di vista, lo Stato è esattamente come la banca. Prescindendo da motivazioni che legano l’imprenditore al paese in cui è nato e cresciuto, è perfettamente logico, razionale ed economicamente corretto che un soggetto si rivolga ad un altro creditore quando il primo è scontento del secondo. La situazione ovviamente può trasformarsi in concorrenza fiscale sleale e cattiva, ma proprio questo porta ad individuare quali sono i soggetti (cioè gli Stati in questo caso) migliori sotto questo punto di vista.

Mi si potrebbe obiettare che lo Stato, qualunque esso sia, non può essere paragonato ad un soggetto che mi fa credito, seppur sotto diversa forma e natura. Beh, non sono proprio d’accordo, perché lo Stato ha la possibilità di imporre tasse e imposte ai cittadini e le imprese, ma non ha la facoltà di vincolarli a rimanere nel Paese.

Quello che sto cercando di spiegare è che lo Stato non può essere considerato minimamente come un socio occulto, ma più che altro come un creditore estremamente privilegiato che, come un obbligazionista, pretende di essere remunerato indipendentemente dal risultato d’impresa. Detto ciò, non ha senso continuare a rimanere in un Paese che non si comporta in maniera corretta (nel senso che non richiede una remunerazione adeguata alle diverse capacità contributive).

Sono estremamente a favore della possibilità di spostare la sede legale della propria società in un Paese più mitemente tassato, anche se è vero che coloro che possono farlo sono generalmente le imprese più grandi e questo porta ad un aumento del divario in termini di ricchezza tra i percettori.




Lo studente, Matthew Shod


domenica 26 luglio 2015

Seguire operazioni di buy back?

Tutti sappiamo cosa sono le operazioni di buy back, cioè il riacquisto di azioni proprie da parte della società che le ha emesse. La cosa a mio avviso molto molto interessante, non sono le metodologie dal punto di vista tecnico con cui avvengono queste operazioni, ma bensì le motivazioni sottostanti che spingono i manager a effettuare operazioni di questo tipo. Navigando su internet e sui miei libri ho potuto riassumere le motivazioni principali per cui vengono effettuate operazioni di buy back. Partiamo da quelle che vengono descritte sul sito di Borsa Italiana (http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/riacquistoazioniproprie.htm). Qui riporto parola per parola quello che viene descritto:

[...]
  • Una società può decidere di riacquistare titoli propri per inviare al mercato un segnale di fiducia, in quanto il buy back indica un implicito apprezzamento dell’investimento nei titoli della stessa società.
  • Il riacquisto di azioni proprie può servire a una società quotata per sostenere in Borsa il valore del titolo. Questo per via della legge che àncora i prezzi delle azioni alle oscillazioni della domanda e dell’offerta. A un aumento della domanda del titolo generata dal buy back corrisponde un incremento del valore delle azioni. Questo genere di operazioni è finalizzato anche a regolarizzare le negoziazioni su un titolo in momenti di particolare instabilità del mercato.
  • Il riacquisto di azioni proprie da parte della società può, inoltre, essere finalizzato alla creazione di una riserva di titoli del gruppo.
  • Il buy back è correntemente utilizzato nei piani di stock option per reperire sul mercato le azioni che poi saranno concesse in opzione ai manager del gruppo in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi (target) economico-finanziari.
  • Il buy back in particolari casi è utilizzato anche per garantire determinati assetti proprietari nella compagine azionaria. Può capitare, infatti, che l’uscita di un socio non sia accompagnata dall'immediata disposizione da parte degli altri azionisti a un riacquisto delle quote del socio uscente. In questi casi il pacchetto azionario messo in vendita può essere temporaneamente acquisito dalla stessa società. Un’operazione simile a quella sopra descritta è quella che si presenta nel caso in cui una società riacquisti sul mercato delle azioni proprie per ostacolare l’ingresso nella compagine azionaria di soci non graditi.
  • Il buy back può essere utilizzato, infine, per avviare delle riduzioni del capitale sociale della società che lo vara. Si tratta di un'altra operazione che favorisce i corsi di Borsa e che, appunto, passa per l'acquisto di azioni proprie che, in una seconda fase, vengono ritirate dal mercato. [...]
A queste motivazioni vorrei aggiungerne delle altre. Sono le seguenti:
  • Scambi di azioni con altre società di capitali, nell'ambito di operazioni di natura strategica di interesse per gli emittenti.
  • Buy back come strategia di difesa nei confronti di scalate ostili.
  • Conflitti tra azionisti e tra azionisti e creditori.
  • Manipolazione dell’EPS (le azioni proprie non percepiscono dividendi).
  • Ottimizzazione della struttura finanziaria. La maggior parte degli studi empirici conferma che le imprese che annunciano un buy back hanno un livello di indebitamento inferiore rispetto a quello ottimale.
Dopo questo breve riassunto, vorrei concentrarmi sul primo punto, mettendomi nell'ottica di un investitore outsider, senza nessun legame con la società che ha deciso, ipoteticamente, di effettuare un'operazione di buy back. Vorrei anche eliminare il concetto puramente scolastico dell'informazione perfetta e dei mercati perfetti. Ad ogni modo è facile considerare che anche in assenza di queste ipotesi, gli insider abbiano un'ottima conoscenza circa il valore intrinseco (fondamentale) e quindi sanno se in ogni momento il prezzo quotato sul mercato è maggiore o minore di quello che in realtà dovrebbe essere.
Allora un outsider come potrebbe fare a carpire queste informazioni? Siamo sempre focalizzati sul primo punto della lista, quindi vogliamo sapere se possiamo investire oggi nel titolo aspettandoci un apprezzamento in futuro. Il problema è distinguere i buy back in cui si ritiene che il titolo sia sottovalutato, dalle altre motivazioni. Questo può non essere così semplice, sopratutto se non si conoscono a pieno le strategie dell'impresa, condizione in cui sono la maggior parte degli investitori. Se la società è quotata e questa comunica informazioni sensibili, il prezzo si aggiusta nei giorni seguenti la comunicazione, quindi si potrebbe perdere il vantaggio di investire in un titolo sottovalutato. Allora si potrebbero seguire alcuni accorgimenti di natura finanziaria. Sappiamo che un moderato indebitamento è ottimo per le imprese, in quanto permette di sfruttare lo scudo fiscale. Se un investitore ritiene che l'indebitamento della sua società target sia poco spostata verso il debito e questa effettua un'operazione di buy back, allora la motivazione sottostante può non essere che il titolo venga ritenuto sottovalutato dal management. In questo caso, la società utilizza la cassa per diminuire le azioni in circolazione, o diminuire il capitale, con lo scopo di aumentare il leverage. Quindi l'effetto di aumento del prezzo del titolo potrebbe essere solo temporaneo e anche di lieve entità. Questo può essere positivo per uno speculatore, ma non tanto per un investitore value.

Continuando, molto più difficile sarebbe determinare quando la società riacquista proprie azioni per far uscire un socio, per sostenere il valore del titolo o per la creazione di una riserva titoli. Comunque in questi ultimi due casi il segnale è comunque quello che il prezzo è più basso di quello che dovrebbe essere, ma lo scopo di un investitore che acquisti un'azione non dovrebbe essere focalizzata nel breve termine. Però, se si è uno speculatore questi potrebbero essere segnali positivi. Se si "ascolta bene il mercato" è possibile cominciare a pensare che l'operazione sia finalizzata per strategie di M&A con paper payments. Quindi lo scopo del buy back potrebbe essere quello di scambiare le azioni con quelle della nuova combined entity, motivazione molto lontana da una sottovalutazione del titolo. Ad ogni modo, in questo caso, il prezzo del titolo può comunque salire e di parecchio, per il fatto che è stata aumentata la domanda in seguito al buy back e perchè i soci della società potrebbe beneficiare dell'operazione di merger or acquisition, vedendo il prezzo del loro titolo salire alle stelle. Qui il problema è riuscire ad individuare questi casi.

Per ritenere, con un ottimo intervallo di confidenza, che il prezzo del titolo sia svalutato seguendo operazioni di buy back, bisognerebbe concentrarsi sul management. In primo luogo si potrebbe pensare 'beh, il management potrebbe avere problemi di comunicazione, allora riacquista azioni proprie perchè non riesce a comunicare al mercato il loro reale valore'. Attenzione! Se ci si concentra su questa ipotesi, si potrebbe cadere in una trappola. Perchè da una parte il management potrebbe farlo per modificare la comunicazione improntata unicamente su valori contabili, distorcendo la comunicazione dell'EPS, dato che le azioni proprie non possono ricevere dividendi. Naturalmente questa è una visione molto molto miope, dato che un investitore con un po' di sale in zucca non guarda unicamente ai parametri contabili. Altro problema, potrebbe essere il fatto il management potrebbe essere restio nel comunicare dati non buoni, mentre è incentivato alla comunicazione dei dati/parametri positivi, quindi si potrebbe pensare che il problema di comunicazione, come conseguenza del buy back, non c'entri proprio niente. Gli investitori non possono sapere se le informazioni sono vere o false. Diffondere informazioni costa e una “cattiva” società potrebbe non avere la convenienza a farlo.

Quindi, quando dicevo di concentrarsi sul management intendevo sulle persone che incorporano i gestori della società. Nel senso che occorre vedere se gli interessi dei manager sono allineati a quelli degli azionisti. In questo modo se i manager aumentano il valore per gli azionisti, monetizzano i loro bonus e tutti sono felici e contenti. Se la società ha creato dei contratti con i manager in cui questi ultimi ricevono la propria remunerazione variabile se raggiungono determinati risultati (con obiettivi di medio-lungo periodo possibilmente) e questi eseguono operazioni di buy back, se non rientrano tra casi descritti precedentemente, allora potrebbe essere conveniente oggi acquistare quel titolo. Il buy back è un forte segnale di sottovalutazione ed ha senso solo quando il valore reale del titolo è superiore al valore di mercato. L’investimento in azioni proprie può creare valore in funzione del vantaggio informativo che la società ha nei confronti di altri operatori. La società sa se le azioni sono sottovalutate o meno.

Ora mi piacerebbe sentire la vostra opinione.



Lo studente, Matthew Shod


martedì 7 luglio 2015

Investire nelle Assicurazioni

Cos'ha l'attività assicurativa di diverso rispetto a tutti gli altri tipi di attività? Per legge, prima incassa i premi e poi eventualmente risarcisce i propri clienti.

Questo è molto interessante a mio avviso, soprattutto per due motivi. Primo, se l'assicurazione è brava a stimare la frequenza dell'accadimento dei sinistri, la loro probabilità, e l'esborso medio di ogni sinistro, allora potrebbe davvero creare valore per gli azionisti. Secondo, se ha un vantaggio competitivo di qualche tipo (su qualche tipologia di polizza, in qualche mercato specifico, ecc...) può più che stabilizzare i propri ricavi per tipologia di prodotti, se riesce a spalmare su un determinato numero di clienti i futuri pagamenti dei sinistri.

Se si riuscisse a trovare un'impresa assicurativa di questo tipo, con un prezzo di mercato sottostimato rispetto al valore intrinseco e che abbia un progetto industriale di lungo periodo mirato al mantenimento del vantaggio competitivo, potrebbe davvero essere un ottimo deal per un'investitore. Oltretutto, nel caso sia così brava da staccare dividendi per buona parte degli anni, continuando comunque ad investire per la protezione del proprio vantaggio competitivo, o meglio, per la ricerca e lo sfruttamento di nuovi vantaggi competitivi, sarebbe davvero davvero un ottimo affare. In questo modo si sfrutterebbero i flussi di cassa indirizzati verso gli azionisti e il guadagno in termini di capital gain, nel momento in cui il mercato comincia a riconoscergli il suo vero valore. Questo "doppio" beneficio ha due facce. Da una parte si sfruttano i flussi di cassa in entrata, investendoli in eventuali nuovi progetti che si possono presentare nel frattempo e magari anche migliori, in termini di ritorno sul capitale investito, di quello in questione. Dall'altra, abbiamo parte del nostro capitale investito in un progetto che continuerà a erogare flussi e che aumenterà di valore nel lungo periodo.

In un progetto del genere, il rischio dell'investimento viene notevolmente ridotto. Il fatto di investire nell'impresa assicurativa sottostimata mi permette di avere un margine di sicurezza e se il vantaggio competitivo è solido, può battere i concorrenti all'interno del suo settore.

Il problema qual'è? In un momento storico come questo, caratterizzato da bassi tassi di interesse, le quotazioni sono molto alte e probabilmente parecchio al di sopra dei fondamentali. Quindi può essere davvero difficile riuscire a trovare affari del genere.

Queste riflessioni, sono nate per uno specifico motivo. Leggendo, ho scoperto che Warren Buffett si è lanciato sull'attività assicurativa in torno al 1967, circa cinque anni dopo la nascita della sua holding e questa attività ha preso sempre più piede all'interno del suo business, fino a diventare uno dei maggiori riassicuratori mondiali. In un settore come questo oltre alla legge dei gradi numeri ed a calcoli matematici, a mio avviso, ci vogliono anche altri fattori. Un'ottima capacità di stima di ciò che si va ad assicurare potrebbe essere l'asso migliore, ma ditemi se sbaglio: se riesco ad avere un giro d'affari in crescente aumento, senza far crescere i rischi in modo proporzionale, potrebbe creare molto più valore. Come potrebbe essere fatto? Probabilmente specializzandosi su un qualche prodotto assicurativo in modo da avere una clientela così ampia e diversificata da poter chiudere una sorta di circuito dei premi-pagamenti e diversificare per tipologia di cliente. Quindi specializzazione di prodotto, diversificazione di clientela.

Vorrei aggiungere una cosa. Ormai è diventata obbligatoria un'assicurazione per molte tipologie di cose. Allo stesso tempo molte imprese e persone desiderano assicurarsi, per loro scelta, dalla possibile perdita, patrimoniale o reddituale, in seguito a determinati eventi. Con l'apertura al movimento dei capitali degli inizi anni '90 molte imprese si sono avventurate oltre confine con lo scopo di crescere, svilupparsi, integrarsi e diventare transnazionali ampliando il proprio portafoglio clienti anche per nazione. Questo determina un notevole aumento del rischio, soprattutto per le piccole-medie imprese. La possibilità di assicurarsi in merito ad una determinata transazione, per esempio se sono un fornitore di un cliente estero e mi assicuro in merito al pagamento, permette notevoli vantaggi. Permette di programmare i flussi di cassa in entrata ed in uscita e questo diventa davvero importante nel momento in cui si avvia un progetto che comporta stress finanziario. Per l'impresa di assicurazione, invece, permette di diversificare il portafoglio clienti in più paesi e, dato che questi tipi di rapporti sono di medio-lungo termine, permette di creare una relazione duratura con un nuovo customer, in modo da creare valore nel lungo periodo. Il rapporto di fiducia, se solido, va a vantaggio di entrambi e dell'economia in generale.

Concentriamoci sull'impresa di assicurazione. Una tipologia di business di questo tipo permette davvero di operare a livello multinazionale e, se ci fosse un qualche vantaggio competitivo altamente difendibile, personalmente comprerei un bel pacchetto azionario dell'assicurazione in questione, anche se il prezzo fosse già in linea con i fondamentali o poco sopra. Nel caso in cui il management si comportasse come un'azionista, essere un shareholders di un'impresa del genere potrebbe davvero portare a risultati eccellenti. Ciò implicherebbe essere proprietari di un pezzetto di azienda con un vantaggio competitivo difendibile, che opera su più mercati e che potrebbe generarmi flussi di cassa continui durante tutto il periodo del mio investimento.

Questo è solo il pensiero di uno studente di finanza che sta cercando qualcuno che gli faccia capire se ragiona nel modo giusto, qualcuno con idee opposte e ben motivate da mostrargli il lato opposto della medaglia. Quindi solo il pensiero di un ragazzo che ha la pretesa di raccontare in un blog cosa farebbe se...



Lo studente, Matthew shod

venerdì 3 luglio 2015

Il rapporto tra ROIC e rischiosità dell'impresa

Partiamo dall'inizio. Per lungo tempo nella valutazione delle imprese ci si è concentrati solamente sulla ricchezza prodotta in senso lato, gli utili e i dividendi, senza tener conto se quello che si stava producendo era davvero sufficiente al soddisfacimento di tutti gli stakeholders. Poi si è passati al concetto di creazione di valore: creazione di ricchezza al netto di tutta una serie di fattori, rischio in primis. Come mi hanno insegnato, l'Economic Profit è una misura di profitto in senso economico che calcola il risultato della gestione al netto di tutto, anche della remunerazione equa dei conferenti di capitale. Bene. Una misura specifica di Economic Profit è l'EVA (Economic Value Added) "creata" da Stern Stewart & CO, una società di consulenza americana che ha brevettato questo metodo di calcolo. Secondo tale formula, vi è creazione di valore se il ritorno sul capitale investito (ROIC) è maggiore del costo medio ponderato del capitale (WACC), tenuto conto dell' Invested Capital. Ora, se il ROIC è inferiore al WACC vi è distruzione di valore e l'impresa in questione dovrebbe ricercare progetti di investimento con un ritorno superiore al WACC. Viceversa, se il ROIC è maggiore del WACC vi è creazione di valore e l'impresa dovrebbe aumentare il capitale investito per creare ancora più valore.

Arriviamo al punto cruciale della questione. Se l'impresa vuole creare valore, deve avere in portafoglio progetti ad alto ROIC. Come si calcola il ROIC? Un parametro di redditività operativa (NOPAT) diviso il Capitale Investito. Il fattore rischio non compare. Quindi se l'impresa ha un ROIC inferiore al WACC dovrà aumentare i ritorni sul capitale investito e questo vuol dire necessariamente aumentare la rischiosità dei progetti futuri o sostituire i progetti in portafoglio con progetti più rischiosi. Se l'impresa aumenta la rischiosità media del suo attivo, gli stakeholders dovranno richiedere un premio per il rischio maggiore. Questo implica che il COE aumenterà (può anche non aumentare, a mio avviso, se gli amministratori della società sono anche gli azionisti e, per esempio, se l'impresa non è quotata), cosiccome il COD, secondo il canale del premio per la finanza esterna. Tutto ciò si riflette su aumento del WACC, il quale potrebbe rimanere superiore al ROIC o diventare ancora maggiore. Ergo, un aumento del ROIC, che equivale ad una aumento della rischiosità dei progetto dell'impresa, e quindi del suo attivo, PUO' non essere giustificata se l'obiettivo è la creazione di valore.
Questo è quella che mi viene da pensare dato che il rischio è si considerato nella formula, ma non in tutti i parametri che la compongono. Non so se questo possa essere esclusivamente un caso di scuola o meno, ma è certo che molti utilizzano questa metodologia. Probabilmente nel mio ragionamento c'è qualche errore, ma se il fattore rischio nel ROIC non compare mentre nel WACC si, a mio avviso potrebbero esserci distorsioni.


Lo studente, Matthew Shod