venerdì 31 luglio 2015

Investire in Procter&Gamble?





La Procter and Gamble Company (P&G) è focalizzata sulla fornitura di beni di consumo. I prodotti della società sono venduti in oltre 180 paesi, in primo luogo tramite la grande distribuzione, negozi di alimentari, negozi di proprietà e di quartiere. Servono molti consumatori nei mercati emergenti operando in circa 80 paesi. P&G è composta da tre unità di business globali: bellezza e cura del corpo, salute e benessere e cura della casa. E’ davvero una società interessante e, a mio avviso, diventa sempre più appetibile, perché rispetto ad inizio 2015 dove quotava più di 90 dollari, ad oggi (31/07/15) è circa sui 77.

I vantaggi competitivi sono indiscussi. Circa 2 miliardi di persone utilizzano un prodotto P&G ogni giorno e la società ha dichiarato di voler aumentare di 1 miliardo questo numero…ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. I vantaggi competitivi sono uno dei fattori su cui molti si concentrano per la valutazione di un’impresa. Questo titolo si trova nei portafogli di circa 13 miliardari, tra i quali anche il mio idolo Warren Buffet. La sua capillarità a livello mondiale, la sua diversificazione e il suo numero spropositato di marchi, rende P&G una delle multinazionali più appetibili al mondo a mio avviso, se si riuscisse ad acquistarla ad un buon prezzo o almeno ad un prezzo in linea col suo valore fondamentale.

Procter&Gamble è un titolo difensivo che opera in un settore a basso rischio come quello dei consumi non ciclici. Caratteristica di questo tipo di titoli è quella di avere un andamento spesso completamente slegato dall'andamento generale del mercato, di offrire buoni dividendi agli azionisti e di mantenere una certa solidità nei livelli di quotazione. Nel caso particolare di Procter & Gamble la forza dei marchi e la diversificazione planetaria dell'attività rendono il titolo particolarmente adatto a offrire un valido rifugio nelle fasi negative del mercato. Con questo voglio dire che indipendentemente dal momento in cui lo si compra o dal momento in cui lo si ha in portafoglio, non viene influenzato dalle fasi negative del ciclo economico dato che si tratta di un’impresa che produce e commercializza beni che vengono utilizzati tutti i giorni. Altri settori, come quello tech, al contrario, ne risentono molto. In questo senso P&G cavalca l’onda della tecnologia per migliorare le fasi della filiera in cui opera, non interviene direttamente, dato che opera in un settore totalmente passivo sotto questo punto di vista.

Inutile stare ad elencare tutti i brandi di proprietà di P&G, ma recentemente ha ceduto circa 43 marchi di bellezza alla Società Coty per 12,5 miliardi di dollari ed il marchio e l’azienda Duracell alla Berkshire Hathawaym per 4,5 miliardi di dollari. La ratio si pone in un cambiamento di rotta deciso dall’attuale CEO A.G. Lafley, il quale ha deciso di concentrarsi sui migliori prodotti e mercati. Questa scelta strategica di cessione dei brand non-core ha lo scopo di migliorare la debole crescita della società degli ultimi anni. Motivo in più per scegliere di investire in P&G perché, se questa non riusciva a sfruttare tali brand al meglio, la scelta del disinvestimento è sempre ottima cosa e non deve essere sempre vista come un fallimento del management.

Altro fattore interessante da considerare sono i dividendi. I dati seguenti sono un po’ datati, ma è giusto per rendere l’idea. Se aveste investito 1.000 $ in P&G nel 1990, nel 2012 dal vostro investimento totale (compresi i dividendi) avreste ottenuto il 1.675%. Investire in Procter & Gamble all'inizio del 1990 avrebbe trasformato 1.000 dollari in 17.754 $ (il rendimento del 1.398%, più l'investimento iniziale). Il tasso di crescita annuale composto è di circa l’11,80%. Ad oggi, il dividend yield è di oltre il 3.3%. Molti investitori ritengono che investire in titoli con il solo scopo di ottenere alti dividendi sia una magra consolazione. Altri invece, hanno fatto di questi titoli la loro fortuna. Il mondo degli investitori è molto segmentato in questo senso. Io ritengo che P&G sia una società solida, multinazionale, con enormi vantaggi competitivi e che abbia una storia di crescita dei dividendi migliori in assoluto. Guardare solo ai dividendi probabilmente è una visione miope, ma se combiniamo questo pregio con tutti i fattori precedenti vediamo che P&G potrebbe essere un buon affare. Dico potrebbe, perché dipende qual è il prezzo a cui si investe.

Il 30 luglio 2015 è uscito sul web che Procter&Gamble ha chiuso il quarto trimestre fiscale, terminato il 30 giugno, con vendite in calo per il sesto trimestre di fila, zavorrata dal dollaro forte. Comunque per quanto mi riguarda, rimane una securities attraente in particolare per i suoi vantaggi competitivi, ma è giusto considerare tutti i fattori che ne influenzano i risultati contabili.

Facendo un riassunto, le motivazioni che potrebbero spingermi ad investire in P&G sono le seguenti:

  • vantaggi competitivi consolidati. La sua storia di quasi 180 anni la rende una delle multinazionali più longeve del mondo e con una storia in termini contabili e di cash flows da far invidia alla maggior parte delle altre multinazionali, la rende una securities da ‘BUY AND HOLD’.
  • Non ha andamenti ciclici. Produce e commercializza beni di consumo sempre necessari, indipendentemente dalla fase storica in cui ci troviamo.
  • Il target price, secondo me, si aggira intorno ai 70 dollari. Nel momento in cui ci si avvicina a quella cifra si può pensare di acquistarla. Se dovesse addirittura scendere sotto i 70 io non ci penserei due volte. Se si ha la disponibilità economica è bene acquistare un bel pacchetto azionario, per poi poter disinvestire in parte quando il prezzo raggiunge i 90-94 dollari, come avvenuto ad inizio 2015. Ma in generale deve rimanere un must nel portafoglio: BUY AND HOLD!
  • Ottimi dividendi. Uno dei dividend yield più alti della storia, consente di aver cash flows continui in modo da poter sfruttare nuove opportunità di investimento che si possono presentare al momento, se non si hanno esigenze di consumo. Oppure pensare di reinvestirli nelle stesse azioni P&G.

Rimane comunque un titolo buy and hold, non mi stancherò mai di ripeterlo. Nella costruzione di qualsiasi portafoglio dovrebbe rientrarci, indipendentemente dal metodo utilizzato per la sua costruzione e dall’avversione al rischio dell’investitore dato che si tratta di un titolo difensivo. Nel momento in cui comincerò seriamente ad investire sui mercati finanziari questa è una securities che controllerò day-to-day, cercando il momento migliore in cui entrare per poi non uscire mai o uscire solo in parte in determinate finestre temporali. Allocare il risparmio in queste aziende è esattamente quello che si dice allocare i capitali in maniera efficiente. Ma dopotutto, questa è solo l’opinione di uno studente di finanza.




Lo studente, Matthew Shod


martedì 28 luglio 2015

Lo Stato: socio occulto o creditore privilegiato?


Mi piacerebbe sapere se gli imprenditori vedono di più lo Stato come un socio occulto oppure come un creditore privilegiato. Le differenze sono tante sotto questi due punti di vista, anche se non sembra. Il fatto di dovere pagare le imposte e le tasse è cosa certa in qualunque Paese risieda la società, ma è ovvio che le differenze di aliquota e le tipologie di tasse-imposte possono molto diverse da Stato a Stato.

Se si considera lo Stato come un socio occulto, questo dovrebbe portare delle competenze o conoscenze alla società, ma così non è o almeno non direttamente. Inoltre dovrebbe essere in un qualche modo più o meno alla pari con gli altri soci in termini di diritti, ma così non è. Infatti, dovrebbe partecipare anche alle perdite (vedi Patto Leonino), ma pensare che lo Stato partecipi alle perdite di una società fa venire proprio da ridere. Continuando, dovrebbe essere chiamato in causa nei casi in cui ci siano inchieste aperte sulla società e ancora una volta mi scappa da ridere pensare a questa affermazione.

Quindi lo Stato non può essere considerato un socio, anche se occulto. La posizione in cui esso si trova è molto più simile a quella di un creditore privilegiato. Molto privilegiato. Invece che prestare soldi , tale creditore offre servizi come strade, ponti, istruzione, sanità, possibilità di inquinare l’aria, ecc… ed in cambio, ovviamente, pretende qualcosa. La questione che veramente mi fa arrabbiare da studente di finanza quale sono, è sentire le persone, che sono ignoranti sotto questo punto di vista, dire che gli imprenditori che delocalizzano parzialmente o totalmente all’estero la propria compagnia, sono evasori, pensano solo a loro stessi, bla bla bla… Mi piacerebbe chiedere a queste persone se mai hanno avuto problemi con la loro banca o altro creditore. Inoltre, mi piacerebbe sapere come hanno reagito a questi eventuali problemi. Sicuramente si saranno lamentati e la maggior parte di loro avrà cambiato banca a seguito di un comportamento particolarmente scorretto o poco consono ad un’istituzione quale quella dell’intermediario bancario. Bene, sotto questo punto di vista, lo Stato è esattamente come la banca. Prescindendo da motivazioni che legano l’imprenditore al paese in cui è nato e cresciuto, è perfettamente logico, razionale ed economicamente corretto che un soggetto si rivolga ad un altro creditore quando il primo è scontento del secondo. La situazione ovviamente può trasformarsi in concorrenza fiscale sleale e cattiva, ma proprio questo porta ad individuare quali sono i soggetti (cioè gli Stati in questo caso) migliori sotto questo punto di vista.

Mi si potrebbe obiettare che lo Stato, qualunque esso sia, non può essere paragonato ad un soggetto che mi fa credito, seppur sotto diversa forma e natura. Beh, non sono proprio d’accordo, perché lo Stato ha la possibilità di imporre tasse e imposte ai cittadini e le imprese, ma non ha la facoltà di vincolarli a rimanere nel Paese.

Quello che sto cercando di spiegare è che lo Stato non può essere considerato minimamente come un socio occulto, ma più che altro come un creditore estremamente privilegiato che, come un obbligazionista, pretende di essere remunerato indipendentemente dal risultato d’impresa. Detto ciò, non ha senso continuare a rimanere in un Paese che non si comporta in maniera corretta (nel senso che non richiede una remunerazione adeguata alle diverse capacità contributive).

Sono estremamente a favore della possibilità di spostare la sede legale della propria società in un Paese più mitemente tassato, anche se è vero che coloro che possono farlo sono generalmente le imprese più grandi e questo porta ad un aumento del divario in termini di ricchezza tra i percettori.




Lo studente, Matthew Shod


domenica 26 luglio 2015

Seguire operazioni di buy back?

Tutti sappiamo cosa sono le operazioni di buy back, cioè il riacquisto di azioni proprie da parte della società che le ha emesse. La cosa a mio avviso molto molto interessante, non sono le metodologie dal punto di vista tecnico con cui avvengono queste operazioni, ma bensì le motivazioni sottostanti che spingono i manager a effettuare operazioni di questo tipo. Navigando su internet e sui miei libri ho potuto riassumere le motivazioni principali per cui vengono effettuate operazioni di buy back. Partiamo da quelle che vengono descritte sul sito di Borsa Italiana (http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/riacquistoazioniproprie.htm). Qui riporto parola per parola quello che viene descritto:

[...]
  • Una società può decidere di riacquistare titoli propri per inviare al mercato un segnale di fiducia, in quanto il buy back indica un implicito apprezzamento dell’investimento nei titoli della stessa società.
  • Il riacquisto di azioni proprie può servire a una società quotata per sostenere in Borsa il valore del titolo. Questo per via della legge che àncora i prezzi delle azioni alle oscillazioni della domanda e dell’offerta. A un aumento della domanda del titolo generata dal buy back corrisponde un incremento del valore delle azioni. Questo genere di operazioni è finalizzato anche a regolarizzare le negoziazioni su un titolo in momenti di particolare instabilità del mercato.
  • Il riacquisto di azioni proprie da parte della società può, inoltre, essere finalizzato alla creazione di una riserva di titoli del gruppo.
  • Il buy back è correntemente utilizzato nei piani di stock option per reperire sul mercato le azioni che poi saranno concesse in opzione ai manager del gruppo in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi (target) economico-finanziari.
  • Il buy back in particolari casi è utilizzato anche per garantire determinati assetti proprietari nella compagine azionaria. Può capitare, infatti, che l’uscita di un socio non sia accompagnata dall'immediata disposizione da parte degli altri azionisti a un riacquisto delle quote del socio uscente. In questi casi il pacchetto azionario messo in vendita può essere temporaneamente acquisito dalla stessa società. Un’operazione simile a quella sopra descritta è quella che si presenta nel caso in cui una società riacquisti sul mercato delle azioni proprie per ostacolare l’ingresso nella compagine azionaria di soci non graditi.
  • Il buy back può essere utilizzato, infine, per avviare delle riduzioni del capitale sociale della società che lo vara. Si tratta di un'altra operazione che favorisce i corsi di Borsa e che, appunto, passa per l'acquisto di azioni proprie che, in una seconda fase, vengono ritirate dal mercato. [...]
A queste motivazioni vorrei aggiungerne delle altre. Sono le seguenti:
  • Scambi di azioni con altre società di capitali, nell'ambito di operazioni di natura strategica di interesse per gli emittenti.
  • Buy back come strategia di difesa nei confronti di scalate ostili.
  • Conflitti tra azionisti e tra azionisti e creditori.
  • Manipolazione dell’EPS (le azioni proprie non percepiscono dividendi).
  • Ottimizzazione della struttura finanziaria. La maggior parte degli studi empirici conferma che le imprese che annunciano un buy back hanno un livello di indebitamento inferiore rispetto a quello ottimale.
Dopo questo breve riassunto, vorrei concentrarmi sul primo punto, mettendomi nell'ottica di un investitore outsider, senza nessun legame con la società che ha deciso, ipoteticamente, di effettuare un'operazione di buy back. Vorrei anche eliminare il concetto puramente scolastico dell'informazione perfetta e dei mercati perfetti. Ad ogni modo è facile considerare che anche in assenza di queste ipotesi, gli insider abbiano un'ottima conoscenza circa il valore intrinseco (fondamentale) e quindi sanno se in ogni momento il prezzo quotato sul mercato è maggiore o minore di quello che in realtà dovrebbe essere.
Allora un outsider come potrebbe fare a carpire queste informazioni? Siamo sempre focalizzati sul primo punto della lista, quindi vogliamo sapere se possiamo investire oggi nel titolo aspettandoci un apprezzamento in futuro. Il problema è distinguere i buy back in cui si ritiene che il titolo sia sottovalutato, dalle altre motivazioni. Questo può non essere così semplice, sopratutto se non si conoscono a pieno le strategie dell'impresa, condizione in cui sono la maggior parte degli investitori. Se la società è quotata e questa comunica informazioni sensibili, il prezzo si aggiusta nei giorni seguenti la comunicazione, quindi si potrebbe perdere il vantaggio di investire in un titolo sottovalutato. Allora si potrebbero seguire alcuni accorgimenti di natura finanziaria. Sappiamo che un moderato indebitamento è ottimo per le imprese, in quanto permette di sfruttare lo scudo fiscale. Se un investitore ritiene che l'indebitamento della sua società target sia poco spostata verso il debito e questa effettua un'operazione di buy back, allora la motivazione sottostante può non essere che il titolo venga ritenuto sottovalutato dal management. In questo caso, la società utilizza la cassa per diminuire le azioni in circolazione, o diminuire il capitale, con lo scopo di aumentare il leverage. Quindi l'effetto di aumento del prezzo del titolo potrebbe essere solo temporaneo e anche di lieve entità. Questo può essere positivo per uno speculatore, ma non tanto per un investitore value.

Continuando, molto più difficile sarebbe determinare quando la società riacquista proprie azioni per far uscire un socio, per sostenere il valore del titolo o per la creazione di una riserva titoli. Comunque in questi ultimi due casi il segnale è comunque quello che il prezzo è più basso di quello che dovrebbe essere, ma lo scopo di un investitore che acquisti un'azione non dovrebbe essere focalizzata nel breve termine. Però, se si è uno speculatore questi potrebbero essere segnali positivi. Se si "ascolta bene il mercato" è possibile cominciare a pensare che l'operazione sia finalizzata per strategie di M&A con paper payments. Quindi lo scopo del buy back potrebbe essere quello di scambiare le azioni con quelle della nuova combined entity, motivazione molto lontana da una sottovalutazione del titolo. Ad ogni modo, in questo caso, il prezzo del titolo può comunque salire e di parecchio, per il fatto che è stata aumentata la domanda in seguito al buy back e perchè i soci della società potrebbe beneficiare dell'operazione di merger or acquisition, vedendo il prezzo del loro titolo salire alle stelle. Qui il problema è riuscire ad individuare questi casi.

Per ritenere, con un ottimo intervallo di confidenza, che il prezzo del titolo sia svalutato seguendo operazioni di buy back, bisognerebbe concentrarsi sul management. In primo luogo si potrebbe pensare 'beh, il management potrebbe avere problemi di comunicazione, allora riacquista azioni proprie perchè non riesce a comunicare al mercato il loro reale valore'. Attenzione! Se ci si concentra su questa ipotesi, si potrebbe cadere in una trappola. Perchè da una parte il management potrebbe farlo per modificare la comunicazione improntata unicamente su valori contabili, distorcendo la comunicazione dell'EPS, dato che le azioni proprie non possono ricevere dividendi. Naturalmente questa è una visione molto molto miope, dato che un investitore con un po' di sale in zucca non guarda unicamente ai parametri contabili. Altro problema, potrebbe essere il fatto il management potrebbe essere restio nel comunicare dati non buoni, mentre è incentivato alla comunicazione dei dati/parametri positivi, quindi si potrebbe pensare che il problema di comunicazione, come conseguenza del buy back, non c'entri proprio niente. Gli investitori non possono sapere se le informazioni sono vere o false. Diffondere informazioni costa e una “cattiva” società potrebbe non avere la convenienza a farlo.

Quindi, quando dicevo di concentrarsi sul management intendevo sulle persone che incorporano i gestori della società. Nel senso che occorre vedere se gli interessi dei manager sono allineati a quelli degli azionisti. In questo modo se i manager aumentano il valore per gli azionisti, monetizzano i loro bonus e tutti sono felici e contenti. Se la società ha creato dei contratti con i manager in cui questi ultimi ricevono la propria remunerazione variabile se raggiungono determinati risultati (con obiettivi di medio-lungo periodo possibilmente) e questi eseguono operazioni di buy back, se non rientrano tra casi descritti precedentemente, allora potrebbe essere conveniente oggi acquistare quel titolo. Il buy back è un forte segnale di sottovalutazione ed ha senso solo quando il valore reale del titolo è superiore al valore di mercato. L’investimento in azioni proprie può creare valore in funzione del vantaggio informativo che la società ha nei confronti di altri operatori. La società sa se le azioni sono sottovalutate o meno.

Ora mi piacerebbe sentire la vostra opinione.



Lo studente, Matthew Shod


martedì 7 luglio 2015

Investire nelle Assicurazioni

Cos'ha l'attività assicurativa di diverso rispetto a tutti gli altri tipi di attività? Per legge, prima incassa i premi e poi eventualmente risarcisce i propri clienti.

Questo è molto interessante a mio avviso, soprattutto per due motivi. Primo, se l'assicurazione è brava a stimare la frequenza dell'accadimento dei sinistri, la loro probabilità, e l'esborso medio di ogni sinistro, allora potrebbe davvero creare valore per gli azionisti. Secondo, se ha un vantaggio competitivo di qualche tipo (su qualche tipologia di polizza, in qualche mercato specifico, ecc...) può più che stabilizzare i propri ricavi per tipologia di prodotti, se riesce a spalmare su un determinato numero di clienti i futuri pagamenti dei sinistri.

Se si riuscisse a trovare un'impresa assicurativa di questo tipo, con un prezzo di mercato sottostimato rispetto al valore intrinseco e che abbia un progetto industriale di lungo periodo mirato al mantenimento del vantaggio competitivo, potrebbe davvero essere un ottimo deal per un'investitore. Oltretutto, nel caso sia così brava da staccare dividendi per buona parte degli anni, continuando comunque ad investire per la protezione del proprio vantaggio competitivo, o meglio, per la ricerca e lo sfruttamento di nuovi vantaggi competitivi, sarebbe davvero davvero un ottimo affare. In questo modo si sfrutterebbero i flussi di cassa indirizzati verso gli azionisti e il guadagno in termini di capital gain, nel momento in cui il mercato comincia a riconoscergli il suo vero valore. Questo "doppio" beneficio ha due facce. Da una parte si sfruttano i flussi di cassa in entrata, investendoli in eventuali nuovi progetti che si possono presentare nel frattempo e magari anche migliori, in termini di ritorno sul capitale investito, di quello in questione. Dall'altra, abbiamo parte del nostro capitale investito in un progetto che continuerà a erogare flussi e che aumenterà di valore nel lungo periodo.

In un progetto del genere, il rischio dell'investimento viene notevolmente ridotto. Il fatto di investire nell'impresa assicurativa sottostimata mi permette di avere un margine di sicurezza e se il vantaggio competitivo è solido, può battere i concorrenti all'interno del suo settore.

Il problema qual'è? In un momento storico come questo, caratterizzato da bassi tassi di interesse, le quotazioni sono molto alte e probabilmente parecchio al di sopra dei fondamentali. Quindi può essere davvero difficile riuscire a trovare affari del genere.

Queste riflessioni, sono nate per uno specifico motivo. Leggendo, ho scoperto che Warren Buffett si è lanciato sull'attività assicurativa in torno al 1967, circa cinque anni dopo la nascita della sua holding e questa attività ha preso sempre più piede all'interno del suo business, fino a diventare uno dei maggiori riassicuratori mondiali. In un settore come questo oltre alla legge dei gradi numeri ed a calcoli matematici, a mio avviso, ci vogliono anche altri fattori. Un'ottima capacità di stima di ciò che si va ad assicurare potrebbe essere l'asso migliore, ma ditemi se sbaglio: se riesco ad avere un giro d'affari in crescente aumento, senza far crescere i rischi in modo proporzionale, potrebbe creare molto più valore. Come potrebbe essere fatto? Probabilmente specializzandosi su un qualche prodotto assicurativo in modo da avere una clientela così ampia e diversificata da poter chiudere una sorta di circuito dei premi-pagamenti e diversificare per tipologia di cliente. Quindi specializzazione di prodotto, diversificazione di clientela.

Vorrei aggiungere una cosa. Ormai è diventata obbligatoria un'assicurazione per molte tipologie di cose. Allo stesso tempo molte imprese e persone desiderano assicurarsi, per loro scelta, dalla possibile perdita, patrimoniale o reddituale, in seguito a determinati eventi. Con l'apertura al movimento dei capitali degli inizi anni '90 molte imprese si sono avventurate oltre confine con lo scopo di crescere, svilupparsi, integrarsi e diventare transnazionali ampliando il proprio portafoglio clienti anche per nazione. Questo determina un notevole aumento del rischio, soprattutto per le piccole-medie imprese. La possibilità di assicurarsi in merito ad una determinata transazione, per esempio se sono un fornitore di un cliente estero e mi assicuro in merito al pagamento, permette notevoli vantaggi. Permette di programmare i flussi di cassa in entrata ed in uscita e questo diventa davvero importante nel momento in cui si avvia un progetto che comporta stress finanziario. Per l'impresa di assicurazione, invece, permette di diversificare il portafoglio clienti in più paesi e, dato che questi tipi di rapporti sono di medio-lungo termine, permette di creare una relazione duratura con un nuovo customer, in modo da creare valore nel lungo periodo. Il rapporto di fiducia, se solido, va a vantaggio di entrambi e dell'economia in generale.

Concentriamoci sull'impresa di assicurazione. Una tipologia di business di questo tipo permette davvero di operare a livello multinazionale e, se ci fosse un qualche vantaggio competitivo altamente difendibile, personalmente comprerei un bel pacchetto azionario dell'assicurazione in questione, anche se il prezzo fosse già in linea con i fondamentali o poco sopra. Nel caso in cui il management si comportasse come un'azionista, essere un shareholders di un'impresa del genere potrebbe davvero portare a risultati eccellenti. Ciò implicherebbe essere proprietari di un pezzetto di azienda con un vantaggio competitivo difendibile, che opera su più mercati e che potrebbe generarmi flussi di cassa continui durante tutto il periodo del mio investimento.

Questo è solo il pensiero di uno studente di finanza che sta cercando qualcuno che gli faccia capire se ragiona nel modo giusto, qualcuno con idee opposte e ben motivate da mostrargli il lato opposto della medaglia. Quindi solo il pensiero di un ragazzo che ha la pretesa di raccontare in un blog cosa farebbe se...



Lo studente, Matthew shod

venerdì 3 luglio 2015

Il rapporto tra ROIC e rischiosità dell'impresa

Partiamo dall'inizio. Per lungo tempo nella valutazione delle imprese ci si è concentrati solamente sulla ricchezza prodotta in senso lato, gli utili e i dividendi, senza tener conto se quello che si stava producendo era davvero sufficiente al soddisfacimento di tutti gli stakeholders. Poi si è passati al concetto di creazione di valore: creazione di ricchezza al netto di tutta una serie di fattori, rischio in primis. Come mi hanno insegnato, l'Economic Profit è una misura di profitto in senso economico che calcola il risultato della gestione al netto di tutto, anche della remunerazione equa dei conferenti di capitale. Bene. Una misura specifica di Economic Profit è l'EVA (Economic Value Added) "creata" da Stern Stewart & CO, una società di consulenza americana che ha brevettato questo metodo di calcolo. Secondo tale formula, vi è creazione di valore se il ritorno sul capitale investito (ROIC) è maggiore del costo medio ponderato del capitale (WACC), tenuto conto dell' Invested Capital. Ora, se il ROIC è inferiore al WACC vi è distruzione di valore e l'impresa in questione dovrebbe ricercare progetti di investimento con un ritorno superiore al WACC. Viceversa, se il ROIC è maggiore del WACC vi è creazione di valore e l'impresa dovrebbe aumentare il capitale investito per creare ancora più valore.

Arriviamo al punto cruciale della questione. Se l'impresa vuole creare valore, deve avere in portafoglio progetti ad alto ROIC. Come si calcola il ROIC? Un parametro di redditività operativa (NOPAT) diviso il Capitale Investito. Il fattore rischio non compare. Quindi se l'impresa ha un ROIC inferiore al WACC dovrà aumentare i ritorni sul capitale investito e questo vuol dire necessariamente aumentare la rischiosità dei progetti futuri o sostituire i progetti in portafoglio con progetti più rischiosi. Se l'impresa aumenta la rischiosità media del suo attivo, gli stakeholders dovranno richiedere un premio per il rischio maggiore. Questo implica che il COE aumenterà (può anche non aumentare, a mio avviso, se gli amministratori della società sono anche gli azionisti e, per esempio, se l'impresa non è quotata), cosiccome il COD, secondo il canale del premio per la finanza esterna. Tutto ciò si riflette su aumento del WACC, il quale potrebbe rimanere superiore al ROIC o diventare ancora maggiore. Ergo, un aumento del ROIC, che equivale ad una aumento della rischiosità dei progetto dell'impresa, e quindi del suo attivo, PUO' non essere giustificata se l'obiettivo è la creazione di valore.
Questo è quella che mi viene da pensare dato che il rischio è si considerato nella formula, ma non in tutti i parametri che la compongono. Non so se questo possa essere esclusivamente un caso di scuola o meno, ma è certo che molti utilizzano questa metodologia. Probabilmente nel mio ragionamento c'è qualche errore, ma se il fattore rischio nel ROIC non compare mentre nel WACC si, a mio avviso potrebbero esserci distorsioni.


Lo studente, Matthew Shod


mercoledì 1 luglio 2015

YOOX Net-A-Porter vs AMAZON


Il 31/03/2015 è stata annunciata la fusione tra due grandi compagnie di e-commerce retail online: YOOX e Net-A-Porter. La decisione è stata presa a seguito di numerosi incontri tra gli amministratori di YOOX e i vertici di N-A-P e Richemont. Probabilmente la fusione è stata voluta più da Richemont che da YOOX, inizialmente, con lo scopo di entrare in un gruppo forte, sbarazzandosi di una controllata piuttosto problematica per il bilancio consolidato del gruppo Svizzero. Questo può essere facilmente intuito, se si va a leggere la conferenza stampa di YOOX in seguito all'annuncio della fusione sul sito http://www.yooxgroup.com/it/pages/all-news/comunicati-stampa/; viene descritta la compagine sociale e la ripartizione dei voti post fusione, dove Richemont ha accettato un abbattimento del 50% dei diritti di voto rispetto alla proprietà del capitale.


La strategia può essere vista non solo come ottimo deal per Richemont, ma anche per il gruppo bolognese. Quest'ultimo oltre a poter arrivare in mercati geograficamente più lontani scavalcando così alte barriere all'entrare ha potuto costruire, a sua volta, un più alto muro per eventuali futuri competitors d'oltreoceano. Il più temuto a mio avviso, potrebbe essere proprio Amazon. Il colosso americano è già fortemente presente in Italia nel retail online, ma non nel settore in cui opera YOOX e N-A-P. La preoccupazione dei due operatori del lusso potrebbe essere stata proprio quella di una eventuale entrata di prepotenza della compagnia americana nel settore in questione. Questo, a mio avviso, può aver spinto il gruppo di Bologna a trovare un partner forte, complementare e col quale poter creare sinergie, al fine di meglio competere contro Amazon nel momento in cui entrerà. E' facile credere che la compagnia americana possa entrare in questo settore, in particolare per il seguente motivo: a fronte di un tasso di crescita medio del 6% del settore lusso, ci si attende un aumento del 17% del rendimento online del settore. In un contesto macroeconomico di tassi eccessivamente bassi, numeri del genere sono da capogiro. Difficile credere che Amazon possa lasciarsi scappare un progetto del genere.

Potrà rivelarsi una bella battaglia tra i due gruppi. A questo punto un investitore che dovesse scegliere su quale impresa investire tra quelle presentate, quale potrebbe scegliere? Il vantaggio competitivo dovrebbe essere uno dei fattori su cui basare la propria scelta; il problema è che nel mondo dell'e-commerce e della tecnologia le cose cambiano davvero troppo in fretta e una scelta giudicata ottima exante, potrebbe rivelarsi errata expost. Tempo di comprare una borsa per la propria ragazza su uno dei più famosi ed affidabili siti online, che ne spunta subito un altro il quale, per modello di business, innovazione di prodotto, ecc..., può davvero cambiare il modo di approcciarsi a questo mondo. Davvero non saprei come comportarmi nella valutazione delle due compagnie in questione, perché probabilmente si rischia che il vantaggio competitivo acquisito con tanta fatica da una delle due, venga bruciato dal nerd di turno che entra sul mercato con qualcosa di stravolgente. Quindi ad ognuno la sua valutazione.

Vero è che per gli uomini sarebbe più facile. Invece che portare la propria ragazza a fare shopping in giro per negozi, basterebbe sedersi sul divano, aprire il computer e inserire il numero della carta di credito.



Lo studente, Matthew Shod